Il cromo nell’acqua potabile? Secondo Solvay “E’ di origine naturale”
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Irene Navaro - irene.navaro@alessandrianews.it  
30 Gennaio 2014
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Il cromo nell’acqua potabile? Secondo Solvay “E’ di origine naturale”

I consulenti di parte (Solvay) tentano di smontare la tesi accusatoria del pubblico ministero: “è infondata l'accusa di avvelenamento della acque. La presenza di cromo nel pozzo 8 è di origine naturale”. E poi: "gli enti conoscevano la situazione. Non ci fu emergenza nel 2008"

I consulenti di parte (Solvay) tentano di smontare la tesi accusatoria del pubblico ministero: ?è infondata l'accusa di avvelenamento della acque. La presenza di cromo nel pozzo 8 è di origine naturale?. E poi: "gli enti conoscevano la situazione. Non ci fu emergenza nel 2008"

ALESSANDRIA – Hanno parlato per oltre sei ore i consulenti di Solvay al processo che si sta svolgendo in Corte d’Assise contro ex dirigenti dirigenti delle aziende del polo chimico per avvelenamento delle acque e omessa bonifica. L’hanno presa alla larga, ricostruendo davanti alla Corte, presieduta dal giudice Sandra Casacci, l’intera storia delle lavorazioni del sito industriale, dai primi del Novecento ad oggi; hanno spiegato come si muove una falda sotterranea e cosa è un alto piezometrico. L’affondo finale se lo riservano per la prossima udienza, quando Patrizia Trefiletti, Fabio Colombo e Francesco Messineo concluderanno le relazioni. E’ già chiaro, però, l’obiettivo: ribaltare l’accusa, dimostrando come, a loro dire, “non c’è stato avvelenamento” e, in ogni caso, “gli enti erano a conoscenza della situazione, molto di più di quanto non sapesse Solvay”.
Rispondendo alle domante del pubblico ministero Riccardo Ghio, e degli avvocati di parte civile Laura Mara e Vittorio Spallasso, Patrizia Trefiletti torna sulla presenza di cromo esavalente riscontrata nell’acqua proveniente dal pozzo 8 che serviva la mensa interna ed alcune utenze civili, collegate alla rete dello stabilimento. “I dati delle analisi non hanno mai indicato superamenti dei limiti di potabilità sulla base della legge 31 del 2001”, è l’assunto. “Le concentrazioni variano dal 8 a 15 microgrammi di cromo esavalente, contro i 50 indicati dalla legge. E tali valori sono compatibili con la presenza in natura, nelle rocce, di cromo”.
Tutta colpa del monte Beigua, nell’appennino, le cui rocce conterrebbero cromo e nichel che finiscono nella falda che alimentava il pozzo 8. “L’origine del cromo nelle concentrazioni rilevate è di origine naturale, non proviene dal sito di Spinetta”. Prova ne è che i valori del cromo sono “pressoché identici” dei pozzi attorno allo stabilimento come a 60 chilometri di distanza, a monte idrogeologico del sito (ossia verso l’appennino, da dove ha origine la falda che arriva fino alla Fraschetta).
Questo non toglie che “esista una contaminazione da cromo proveniente dalle lavorazioni storiche dello stabilimento”, ma questa “non incide sull’acqua del pozzo 8 che è stata erogata alle utenze civili fino al 2003”.
Nelle acque del pozzo, però, non è presente solo cromo, anche i clorurati. Anche quelli “non provenienti dallo stabilimento di Spinetta”, secondo il consulente, “ma dall’attività di clorazione o dalla presenza di altre lavorazioni, come officine e tintorie”.  (NELLA FOTO A DESTRA una bottiglia d’acqua “imbottigliata” ironicamente da Medicina Democratica, parte civile al processo, proveniente da Spinetta Marengo. Secondo la difesa l’acqua, nonostante le presenza di cromo e altre sostanze, è potabile ed, anzi, di buona qualità).
A prescindere dai dati, fa notare il pubblico ministero Ghio c’è una legge, la 152 del 2006 che non riguarda la potabilità ma la compatibilità tra il prelievo dell’acqua e la presenza di discariche di rifiuti tossico-nocivi in un sito sottoposto a bonifica, come lo è quello di Spinetta Marengo dal 2001.
La Provincia ha autorizzato il prelievo dell’acqua dal pozzo 8 ancora nel 2004. Nella richiesta era indicata la posizione del pozzo” – ribatte la consulente – “gli Enti erano in possesso dei dati e conoscevano la situazione, molto di più di quanto non sapesse Solvay”. Alla richiesta di una valutazione in “qualità di esperta” avanzata dal Pm, Trefiletti esita ma conclude: “io forse oggi non l’autorizzerei. Ma quello è quanto è stato fatto (ossia autorizzare il prelievo di acqua in un sito in bonifica, ndr)”.
“La legge sulla potabilità prevede deroghe ai limiti (escludendoli) nel caso in cui si tratti di sostanze cancerogene o tossiche”? chiede l’avvocato di Medicina Democratica Laura Mara. “Sono valutazioni che fanno gli enti preposti”, risponde il consulente “La norma non distingue tra sostanze cancerogene e non cancerogene”. Chi rilascia il parere sulla potabilità? Chiede Spallasso: “L’Asl” risponde Trefiletti.
Francesco Messineo, igienista ambientale, consulente Solvay, ricostruisce nel dettaglio le lavorazioni all’interno dello stabilimento a partire dal 1901, quando a Spinetta si estraeva l’oro. Le lavorazioni a base di cromo cessarono negli anni ’60, l’algofrene fino al 2004, i reparti Pfp e Pfm sono ancora in attività. Di Dtt se ne ha traccia ancora nel 1997 dopo una caratterizzazione effettuata dalla stessa Solvay. Una lunga storia di prodotti chimici che ha lasciato una pesante eredità, secondo il geologo Vincenzo Francani che spiega come le falde si muovano molto lentamente e come il terreno trattenga gli inquinanti, rilasciandoli anche a distanza di decenni, in modo non uniforme. Il tutto per dire che le colpe non possono ricadere su chi, alla fine, aveva il cerino in mano, ossia Solvay. Tira in ballo gli enti, il consulente Fabio Colombo, enti che “sapevano” già da quel primo articolo del 1941 e, se fosse sfuggito allora, dall’interpellanza parlamentare di Oreste Rossi, che denunciava la contaminazione da cromo. Interpellanza che, di fatto, non ebbe mai risposta, come spiegò lo stesso Rossi davanti alla Corte in qualità di testimone.
La lunga storia secondo Solvay proseguirà nella prossima udienza, fissata il 12 febbraio.
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