Diga di Molare: la simulazione dell’Università di Pavia
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Redazione Ovadese  
27 Settembre 2015
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Diga di Molare: la simulazione dell’Università di Pavia

Presentati i risultati di uno studio sul livello di precipitazioni e le conseguenze del crollo che nel 1935 portarono alla morte di 111 persone

Presentati i risultati di uno studio sul livello di precipitazioni e le conseguenze del crollo che nel 1935 portarono alla morte di 111 persone

 OVADA – Un muro di dieci metri d’acqua alla centrale idroelettrica, spazzata via. Il ponte di Molare abbattuto da un’ondata alta più di 5 metri poi dilagata nella campagne della Rebba. Al borgo l’altezza dell’ondata fu probabilmente di otto metri. I ricordi dei sopravvissuti al crollo della diga di Sella Zerbino, di cui il 13 agosto scorso è stato ricordato l’80° anniversario, sono sempre stati chiari in questo senso. Ora la memoria ha anche il conforto della scienza. Sono stati presentati l’altro giorno, nella prima sessione del convegno “Molare 1935-2015: il Vajont dimenticato delle Alpi Liguri”, i risultati delle simulazioni condotte presso l’università di Pavia. Quel 13 agosto in un’area di 350 chilometri quadrati attorno all’Orba caddero 366 millimetri di pioggia, un dato probabilmente sottostimato dai rilevatori del tempo. Nel corso del processo, la stima presentata dalla difesa parlò di 389 millimetri. Il tutto in un’area soggetta a erosione e per questo motivo del tutto inadatta alla realizzazione di un progetto negli anni rivisto al rialzo fino alle dimensioni finali di un impianto alto 47 metri e lungo 200. “Si parla impropriamente di crollo – ha affermato nella sua relazione il geologo Vittorio Bonaria, organizzatore del convegno e massimo esperto dei fatti storici che portarono alla tragedia – in realtà a collassare fu la sella sulla quale poggiava la diga secondaria. Oggi non rimane che la costruzione lontana dal fiume che ha deviato il suo corso”. A pagarne il prezzo furono intere famiglie che vivevano nelle zone basse dell’Ovadese.

Una lunga scia di morte quella che congiunge la tragedia del 1935 a fatti analoghi. Sul Gleno, in Val di Scalve, nella provincia di Bergamo, l’impianto voluto a fini idroelettrici dalla ditta Viganò ebbe vita brevissima e crollò il 1° dicembre 1923. Sei milioni di metri cubi d’acqua si riversarono a una velocità superiore ai 70 chilometri all’ora verso il lago d’Iseo e spazzarono via i paesi del fondo valle. Le stime ufficiali parlarono di 356 vittime, ma un conto attendibile fa salire a 600 il numero dei morti. Testimonianze dell’epoca riportano di un immane spostamento d’aria che fece rotolare via le persone dei paesi più vicini. Molto più nota la tragedia del Vajont, con la frana del monte Toc a provocare la morte di 1917 persone tra Longarone, Erto e Casso.  

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