Italiani esterofili
Auspicando una rifioritura per la nostra meravigliosa lingua, non slang, non ci resta che impegnarci a sostituire quotidianamente i termini inglesi che ci stanno tanto a cuore con parole italiane altrettanto interessanti e purtroppo sconosciute. Forse questo ci farà comprendere le bellezze che ci circondano, di cui il linguaggio è solo un esempio
Auspicando una rifioritura per la nostra meravigliosa lingua, non slang, non ci resta che impegnarci a sostituire quotidianamente i termini inglesi che ci stanno tanto a cuore con parole italiane altrettanto interessanti e purtroppo sconosciute. Forse questo ci farà comprendere le bellezze che ci circondano, di cui il linguaggio è solo un esempio
La propria lingua invece viene denigrata, o peggio ancora lentamente sostituita. I giovani escono per “l’happy hour”, aperitivo suona male, e vanno in un “pub”, i bar sono preistoria. Quelli alla moda, anzi “fashion” mangiano un “sandwich”, che è un semplice panino, si fanno un selfie, vale a dire un autoscatto ma in inglese rende meglio. Potrei scrivere pagine e pagine sui “wedding planner” che prima erano solo organizzatori di matrimoni, sul trend della Borsa, cioè l’andamento, sui verbi “taggare e “postare” invece di citare e pubblicare; ma preferisco evidenziare come questa moda di inglesizzare il vocabolario quotidiano abbia colpito anche la classe politica. Infatti il nostro premier, anzi Presidente del Consiglio, famoso rottamatore, oltre allo svecchiamento del suo partito ha operato anche quello del linguaggio nelle alte sfere; e come risultato abbiamo il “job’s act”invece della solita riforma del lavoro e l’utilizzo delle “slide” o diapositive che dir si voglia. Di “spending review” o revisione della spesa parlavamo gia prima del suo avvento.
Questo processo è il frutto dell’esterofilia degli italiani, che vedendo solo i difetti del nostro Paese non ne sanno apprezzare gli innumerevoli pregi e si rivolgono ad altre nazioni che, a differenza nostra, pur avendo come tutte aspetti negativi, sanno pubblicizzare maggiormente le loro eccellenze, costruendo un’immagine positiva ed edificante del proprio Stato. Di conseguenza per noi tutto quello che viene da fuori è migliore: le auto tedesche sono più veloci, i film americani non reggono il confronto con quelli nostrani e per chiudere in bellezza tra la baguette e la rosetta c’è un abisso. Risulta ovvio che quindi anche l’italiano paragonato ad altre lingue non faccia una bella figura.
Perché una lingua sostituisca un’altra si presuppone che sia più facile, più piacevole da ascoltare, magari esprima i concetti in maniera più chiara, ma con l’inglese non è così. L’italiano ha una varietà di sinonimi per esprimere lo stesso vocabolo che in inglese è impensabile, le molteplici sfumature di significato che noi possiamo dare non le sentiremo mai da un suddito della regina Elisabetta. Basti pensare ad una semplicissima regola grammaticale che prevede la distinzione tra generi: in italiano sia l’articolo determinativo che quello indeterminativo hanno forme diverse per il maschile e il femminile ( il, la,un,una), mentre in inglese esiste un’unica forma per tipo (the,a). Noi stiamo quindi soppiantando una lingua precisa, varia, elegante ed eufonica con una meno attenta ai particolari, che facilmente si ripete e il cui unico vero pregio è di essere universale.
Nessuno dice di sottovalutare l’inglese e la sua comprensibilità senza confini, tanto meno io che la studio approfonditamente da anni e l’ho ampiamente sfruttata all’estero, semplicemente sarebbe preferibile usufruirne quando opportuno e non sempre. In Italia, quando ci rivolgiamo ad un pubblico di connazionali, dovremmo depurare il nostro linguaggio dagli inglesismi, perché non tutti sono tenuti a conoscere l’inglese e, ad esempio, una pensionata che voglia leggere il giornale o seguire un dibattito in tv deve essere in grado di apprendere appieno il tema del discorso. Credo inoltre che la lingua sia un importantissimo fattore di aggregazione per un popolo e la storia lo dimostra; perciò dovremmo conservarla con cura, come emblema dell’unità nazionale che con grande fatica abbiamo raggiunto un secolo e mezzo fa, anche perché la sua diffusione tra tutti gli strati della popolazione è relativamente recente, cioè da quando si sono abbandonati i dialetti locali grazie all’istruzione obbligatoria. Sarebbe quindi un gran peccato sostituirla dopo così poco tempo con una priva di tanti significati simbolici.
Auspicando una rifioritura per la nostra meravigliosa lingua, non slang, non ci resta che impegnarci a sostituire quotidianamente i termini inglesi che ci stanno tanto a cuore con parole italiane altrettanto interessanti e purtroppo sconosciute. Forse questo ci farà comprendere le bellezze che ci circondano, di cui il linguaggio è solo un esempio.