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    Sosa,
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    Alessandro Francini  
    7 Febbraio 2017
    ore
    00:00 Logo Newsguard

    Sosa, ‘el Chino’ di Montevideo: “Qui sto bene, ma fa troppo freddo”

    Il tifo per il Nacional de Montevideo, la fascia di capitano, la vita ad Alessandria ('io e la mia famiglia ci stiamo bene, ma a fine carriera andrò a vivere a Palma di Maiorca') e quella in Uruguay ('ci sono campi da calcio ovunque'), fino all'origine del suo soprannome. La squadra di Materia Grigia ha intervistato Cristian 'Chino' Sosa, leader dello spogliatoio grigionero

    Il tifo per il Nacional de Montevideo, la fascia di capitano, la vita ad Alessandria ('io e la mia famiglia ci stiamo bene, ma a fine carriera andrò a vivere a Palma di Maiorca') e quella in Uruguay ('ci sono campi da calcio ovunque'), fino all'origine del suo soprannome. La squadra di Materia Grigia ha intervistato Cristian 'Chino' Sosa, leader dello spogliatoio grigionero

    MATERIA GRIGIA – In campo domenica nella vittoriosa battaglia con il Piacenza, preferito a Celjak sulla fascia destra, e puntuale come sempre nelle chiusure difensive, ma anche nel sostegno alla manovra offensiva. Prima alternativa alla solida coppia di centrali Gozzi-Piccolo, e soprattutto acclamato capitano dei Grigi. Stiamo parlando ovviamente di Cristian Sosa da Montevideo, detto “Chino” (in chiusura spiegheremo le ragioni del curioso soprannome), che a ridosso delle trentadue primavere – è nato il 19 febbraio 1985 -, ha raggiunto la piena maturità come atleta e come uomo. Lo abbiamo incontrato nella sede dell’Alessandria, per ragionare insieme della stagione in corso, delle prospettive future e per sapere qualcosa in più sulla vita e la carriera del difensore grigionero. 

    Cristian, quest’anno la concorrenza per un posto nel quartetto difensivo è davvero agguerrita. Nelle scorse due stagioni, invece, prima con D’Angelo e poi con Gregucci, sei sempre stato titolare inamovibile. Come vivi questa nuova condizione, in cui spesso sei costretto a subentrare a partita in corso?
    Al mister sono stati messi a disposizione giocatori di grande esperienza che da subito hanno dimostrato il proprio valore, perciò è stato giusto continuare a puntare su di loro. Ovviamente ogni calciatore vorrebbe essere titolare ad ogni partita e nelle prime due stagioni ho avuto la fortuna di giocare praticamente sempre. Ad ogni modo vivo questa nuova situazione con serenità, come del resto fanno tutti quei miei compagni che al momento sono costretti a partire dalla panchina, ma che sarebbero titolari in qualsiasi altra squadra di Lega Pro. In realtà nessuno si sente inamovibile, anche se poi i numeri parlano chiaro e dicono che qualcuno ha naturalmente giocato più di altri. Siamo però un gruppo molto maturo, che non si fa problemi di questo genere. 

    In campo sei un giocatore piuttosto duttile, con l’Alessandria hai giocato sia da centrale che da terzino. In quale ruolo ti senti più a tuo agio?

    Con mister D’Angelo giocavo da ‘mezzo destro’ nella difesa a cinque o a tre. Diciamo che probabilmente, per le mie caratteristiche, l’ideale sarebbe proprio giocare in una difesa a tre. L’anno scorso, invece, sono stato impiegato da centrale in uno schieramento a quattro e posso dire di avere imparato tantissimo con mister Gregucci in questo nuovo ruolo. 

    Prima di vestire la maglia dell’Alessandria hai avuto una carriera abbastanza ‘movimentata’. Il debutto nella Serie A uruguaiana, poi l’arrivo a Taranto con una breve parentesi in Romania, e quindi la Serie B…
    In Uruguay ho debuttato in Serie A con il Defensor Sporting, una delle tante società di Montevideo. Sono arrivato in Italia nel 2008, ingaggiato dal Taranto in C1. L’anno dopo sono passato al Gallipoli in Serie B. Un campionato davvero complicato: in tutta la stagione abbiamo percepito un solo stipendio. La società era inesistente, non c’erano i soldi nemmeno per il sapone nei bagni degli spogliatoi. Abbiamo finito il campionato grazie ai tifosi che hanno raccolto dei fondi, dando così una grossa mano alla squadra. Il nostro allenatore era ‘il Principe’ Giuseppe Giannini, poi a marzo è arrivato mister Ezio Rossi (ora in panchina a Casale, n.d.r.). Dal punto di vista calcistico per me è stato un anno positivo perché ho giocato 35 partite, ma alla fine è arrivata l’inevitabile retrocessione. A fine stagione sono poi andato a giocare in una squadra della Serie A rumena (Targu Mures, n.d.r.), un’esperienza durata poco perché dopo soli sei mesi sono tornato al Taranto, in quel momento allenato dal mio ex compagno di squadra Davide Dionigi, che mi ha voluto fortemente con sé. Poi il trasferimento a Cittadella, di nuovo in Serie B. Una realtà completamente diversa rispetto a Taranto e Gallipoli, una società sana e molto seria. Non è un caso, infatti, che negli ultimi anni abbiano giocato così tanti campionati tra i cadetti. 

    Quest’anno hai più volte indossato la fascia di capitano, una decisione dello spogliatoio che evidentemente ha voluto premiare la tua professionalità.
    Sì, è stata una votazione interna allo spogliatoio, ma già la scorsa stagione, nonostante che il capitano fosse Santiago Morero, soprattutto nella seconda parte di campionato eravamo in due o tre a giocarci la fascia quando Santiago non era in campo dal 1′. Essere capitano ti dà sicuramente quel senso di responsabilità che magari prima sentivi di meno, ma secondo me in un gruppo c’è bisogno di almeno tre o quattro giocatori di carattere, che possano fare da punto di riferimento per i più giovani. Comunque, in generale, come già dicevo, siamo un gruppo molto unito. Anche i nuovi arrivati, Gonzalez, Piccolo e Gozzi, ad esempio, si sono subito messi a disposizione con grande umiltà, pur avendo tanta esperienza alle spalle. Fra di noi non ci sono mai stati problemi. Probabilmente grazie anche ai buonissimi risultati in campionato, che aiutano sempre a dare fiducia al gruppo e a tenerlo compatto. 

    Un tuo giudizio sul lieve calo delle ultime settimane. Due sconfitte, quelle con Livorno e Arezzo, tutto sommato accettabili perché arrivate entrambe in trasferta contro due tra le tre-quattro avversarie più in forma del campionato.

    Sì, diciamo che se all’inizio del torneo ci avessero detto che avremmo perso a Livorno e ad Arezzo credo che nessuno si sarebbe scandalizzato più di tanto. Sono proprio quel tipo di sconfitte che durante l’arco di una stagione possono starci. I nostri avversari sono stati molto bravi a metterla sul piano dell’agonismo e a ‘sporcare’ un po’ la partita. Si è giocato pochissimo in entrambe le occasioni, però noi dobbiamo imparare a gestire meglio certe situazioni. Abbiamo comunque avuto diverse palle-gol, sia a Livorno che ad Arezzo. A Livorno ricordo un palo di Bocalon che con più fortuna avrebbe potuto portarci sul 2-2, e in un campo del genere un pareggio è un risultato molto positiivo. Ad ogni modo siamo una squadra matura e non facciamo drammi. 

    Come ti trovi con mister Braglia? Un tipo tosto…
    Beh, sì un allenatore vecchio stampo, di grande personalità e carattere, qualità che cerca sempre di trasmettere anche alle sue squadre. Con lui il rapporto è buono e non ho mai avuto alcuna difficoltà. Anche perché sono un tipo che cerca sempre di mantenere una giusta “distanza” con gli allenatori, semplicemente per una questione di professionalità e rispetto reciproco. 

    Sei ad Alessandria da tre anni, che rapporto hai con la città? Come ti trovi?
    Qui ad Alessandria sto bene, anche se d’inverno fa davvero troppo freddo, e io il freddo lo patisco particolarmente. Per fortuna, però, anche la mia famiglia si è ambientata bene. Con mia moglie e mia figlia, che ha due anni e mezzo e va all’asilo nido, spesso facciamo passeggiate in centro. E’ una città tranquilla, dove riesci ad avere la tua privacy. Al sud, ad esempio, quando la gente ti incontra per strada quasi sempre si avvicina per fare una foto o per farti i complimenti. Sono piazze più calde, è normale, al sud è così un po’ ovunque. Al nord, invece, la gente è più riservata, magari quando ti incontra nei locali ti riconosce ma si tiene a distanza. Anche a Cittadella era così. Diciamo che ormai sono abituato a questo tipo di atteggiamento meno caloroso, e va benissimo così. 

    Progetti per il futuro? A fine carriera pensi di rimanere nel mondo del calcio?
    Penso di no. Mi piacerebbe andare a vivere in Spagna, a Palma di Maiorca, dove vivono i miei suoceri. E’ un posto bellissimo che ormai conosco bene. Non credo però che rimarrò nel mondo del calcio. Certo, è ancora presto per dirlo perché ho poco più di trent’anni e voglio fare il calciatore ancora a lungo. 

    In Uruguay il calcio è certamente lo sport nazionale e vanta diverse società storiche che, soprattutto in passato hanno vinto moltissimo. Tu per quale squadra fai il tifo?
    Io sono da sempre un tifoso del Nacional de Montevideo. Abitavo a poche centinaia di metri dallo stadio. Tutta la mia famiglia è tifosissima del Nacional. A Montevideo ci sono 17-18 società calcistiche e una quidicina di queste militano in Serie A, però gran parte del tifo cittadino è diviso unicamente tra Penarol e Nacional. Non c’è proprio confronto con le altre società; sono le uniche due squadre che ogni volta riescono a portare allo stadio almeno 30-40 mila persone. Da piccolino devi semplicemente decidere se sei del Penarol o del Nacional (sorride, n.d.r.), le altre praticamente non esistono. 

    Torni spesso in Uruguay? E’ un Paese di cui ultimamente si parla molto bene, anche per ciò che riguarda la qualità della vita.
    Torno nel mio Paese almeno una volta l’anno. Beh, bisogna considerare che rispetto agli altri Stati dell’America Latina siamo una nazione molto piccola, sia geograficamente che come popolazione. In Uruguay vivono poco più di 3 milioni di persone (di cui 1 milione e 300 mila nella sola capitale, n.d.r.), siamo però un popolo molto unito. La cosa straordinaria, calcisticamente parlando, è che la nazionale di un Paese piccolo come il nostro sia riuscita a vincere più Coppe America di Brasile e Argentina. Il calcio è decisamente lo sport più seguito. Non potete immaginare la quantità di campi da calcio presenti solo a Montevideo. Praticamente tutti i bambini da piccoli giocano in una squadra o comunque passano i pomeriggi a giocare a pallone. Il calcio ci scorre davvero nel sangue. 

    Per quanto riguarda la situazione economica e sociale?
    Diciamo che ce la caviamo bene. Certo non possiamo competere con potenze come Argentina e Brasile, però, ad esempio, rispetto a Paesi come Colombia e Venezuela, da noi il problema della criminalità è decisamente meno sentito. D’altronde l’uruguaiano è famoso in Sud America per essere un tipo molto calmo e tranquillo. Infatti tanti argentini e brasiliani vivono in Uruguay anche per queste ragioni. Da noi probabilmente si vive meglio rispetto ad altre zone dell’America Latina. 

    Torniamo, per concludere, alla stagione in corso. In campo avete dimostrato, domenica dopo domenica, di essere un gruppo davvero affiatato. Ma negli spogliatoi esistono veri e propri rapporti di amicizia? C’è qualcuno con cui hai legato di più?
    Certamente. Diciamo che io, Adri e Pablo (Mezavilla e Gonzalez, n.d.r.) nei momenti di pausa siamo praticamente sempre insieme. Ci ritroviamo per preparare e bere il ‘mate’, la tipica bevanda sudamericana. Ma anche con gli altri ragazzi ho un ottimo rapporto. Ad esempio anche il ‘Boca’ (Bocalon, n.d.r.) qualche volta si unisce a noi per gustare il ‘mate’. L’anno scorso pure Terigi era spesso della compagnia. Devo dire che siamo proprio un bel gruppo; dopotutto per vincere e arrivare lontano serve anche questo. 

    Infine, una ‘chicca’ per i nostri lettori. Curiosa e poco nota l’origine del soprannome del capitano dei Grigi. Nel quartiere dei Sosa, a Montevideo, viveva un clochard chiamato ‘el Chino’ dagli abitanti della zona, la cui dote principale non era evidentemente la bellezza… Pare che un cuginetto di Cristian, vedendolo appena nato, abbia subito esclamato: “È brutto come il Chino!”. E da allora è rimasto questo singolare nomignolo. Quel ragazzino di Montevideo che abitava a 200 metri dallo stadio del Nacional ne ha fatta parecchia di strada, fino ad essere oggi tra i leader di un’Alessandria sempre più ambiziosa.

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