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Lorenzo Robbiano - redazione@ilnovese.info  
25 Aprile 2017
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Quella bandiera rossa sulla torre del castello

Il racconto della Liberazione di Novi Ligure

Il racconto della Liberazione di Novi Ligure

NOVI LIGURE – La mattina del 24 aprile 1945, partendo da via Ovada, tre uomini percorrevano corso Piave e da piazza Sant’Andrea accedevano al parco Castello, salivano sulla torre per issare, sul punto più alto della città, un enorme bandiera rossa, era il segnale che la Liberazione di Novi era iniziata. Lungo le strade, al loro passare, i novesi applaudivano Agostino Repetto, Alfredo Cocco e Giampiero Risso che sventolavano l’enorme drappo, ricavato da un lenzuolo bianco a due piazze, che il tintore Andrea Repetto nella notte aveva provveduto a colorare di rosso.

Il significato di quel gesto simbolico lo racconta Pasquale Balestri: “Nostro intendimento era di annunciare ai cittadini la ormai prossima fine della guerra e la liberazione. Nello stesso tempo volevamo ammonire i fascisti facendo sapere che Novi era vigile e pronta e sarebbe stato inutile da parte loro, abbandonarsi ad atti inconsulti” (1). Lo stesso Balestri e Bruno Bottazzi avevano proposto al C.L.N., Comitato di Liberazione Nazionale locale, l’iniziativa, che fu accolta. Luigi Olivieri aveva dato l’ordine a quella pattuglia S.A.P. (Squadra d’azione patriottica), guidata da Agostino Repetto, di innalzare la bandiera sulla torre e, in seguito, occupare la sede del P.F.R. (Partito Fascista Repubblicano).

Scesi dalla torre, i tre “sappisti” si diressero in via Girardengo, raggiunto Palazzo Sauli (di fronte alla chiesa di San Nicolò), forzarono il portone e salirono al primo piano per occupare la sede fascista che trovarono pressoché vuota, erano presenti solo alcune ausiliarie, tre o quattro donne, neppure novesi, che lasciarono immediatamente i locali. Il commissario prefettizio, Mario Ferretti, era fuggito, qualche ora prima, con i suoi collaboratori su un autocarro delle brigate nere genovesi. Quelle stanze divennero subito punto di riferimento per i novesi poiché, in quei giorni, ospitavano il C.L.N., la Camera del Lavoro e il Partito comunista; in seguito diventarono, fino a metà degli anni ottanta, sede del Pci novese(2).

La Liberazione di Novi era iniziata
Con la bandiera rossa sulla torre e l’occupazione della sede fascista, la Liberazione di Novi era simbolicamente iniziata. Non a caso nella stessa giornata, il Comando del presidio germanico e il capo di Stato maggiore del Corpo d’Armata “Lombardia”, tenente colonnello Morgantini, tramite il parroco di Tassarolo, Don Pastorino, avevano avviato una trattativa con il C.L.N. e il Comando della brigata partigiana “Val Lemme-Capurro” ; il colonnello tedesco aveva accettato di abbandonare Gavi ma non la resa della guarnigione.
In verità dal giorno precedente in città era in corso uno sciopero generale, la guarnigione tedesca se ne stava rinchiusa a villa Minetta, mentre gli uomini del G.A.P (Gruppo d’azione patriotica) “Vittorio” e le S.A.P. dell’Ilva, della C.I.E.L.I. (l’attuale ENEL), delle ferrovie (dove esisteva un apposito C.L.N.) e di altre aziende, erano pronti per l’insurrezione; zone della città erano presidiate dai partigiani della Brigata “Val Lemme-Capurro”. L’organizzazione degli antifascisti nelle fabbriche novesi, in particolare all’Ilva e tra i ferrovieri, aveva già preso forma a partire dalla caduta di Mussolini, dopo il 25 luglio 1943, con la costituzione delle S.A.P. e il partito comunista aveva organizzato proprie cellule di fabbrica.

Nazisti e fascisti capitolano
Nella notte tra il 25 e il 26 aprile fu raggiunto un accordo tra il C.L.N. e il Comando tedesco, che chiedeva, senza ottenere risultato, che la bandiera rossa fosse ammainata. Fu concordata l’evacuazione pacifica delle truppe del presidio e una tregua per la ritirata delle unità tedesche che dalla Liguria avrebbero dovuto transitare in città, verso Alessandria.
Dopo qualche ora i tedeschi consegnavano le armi agli uomini delle S.A.P. tra le macerie di porta Pozzolo, devastata dai bombardamenti, mentre gli uomini della Brigata Nera e della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) abbandonavano le caserme di via Solferino e di via Collegio (l’attuale via Gramsci) per fuggire, ma furono tutti catturati. I tedeschi in ritirata, peraltro, distruggevano uno dei due binari tra Pozzolo Formigaro e Rivalta Scrivia allo scopo di ritardare l’avanzata delle truppe alleate.

Novi liberata
Il 26 aprile i partigiani controllavano la città, ma vi furono ancora combattimenti tra un posto di blocco partigiano e un gruppo di tedeschi sbandati in località Tuara; a poche ore dalla Liberazione totale di Novi, vi furono le ultime vittime, una lapide posta all’ingresso della scuola media Boccardo (in via Aurelio Ferrando, comandante Scrivia) ricorda quei caduti dei combattenti per la libertà.
Il 27 aprile 1945 la città era definitivamente liberata. L’avvenimento è ricordato da una lapide nell’omonima piazza (sul fianco destro di Palazzo Pallavicini), rinominata significativamente dopo la Liberazione, poiché precedentemente intitolata al 28 ottobre (1922), giorno della marcia su Roma. Quel venerdì 27 aprile la popolazione scendeva per le strade a manifestare la ritrovata libertà. I “sappisti” occuparono i locali dei sindacati fascisti in via Roma, la Camera del Lavoro riottenne la sua sede e il comunista Bruno Bottazzi ne divenne segretario. Venne successivamente istituito il tribunale del popolo che svolse il processo pubblico al campo sportivo dell’Ilva che si concluse con la condanna a morte dei comandanti della GNR e delle Brigate nere novesi.
“Il Comitato di Liberazione prese il Comando Civile Amministrativo della città. Mentre sulla torre del Castello venivano issate al vento, accanto a quella rossa, le bandiere americana e inglese, le insegne del nefasto fascismo che “solo Iddio poteva abbattere” (aveva detto il duce) venivano frantumate, cancellate proprio da quella gioventù di cui il tallone della dittatura aveva creduto di addormentare per sempre la coscienza” (1).
Il Comitato di Liberazione novese era così composto: Dott. Vincenzo Vittorio Trucco, presidente, direttore della clinica Grimalda, per la Democrazia cristiana; Marco Mallarini, impiegato, per il Partito Comunista; Andrea Repetto, tintore, per il partito Socialista; Biagio Martelli, avvocato, per il Partito Liberale; Giuseppe Liberti, artigiano, per il Partito d’Azione; Adolfo Pitto, capostazione, per il Partito Repubblicano. Collaboravano direttamente con il Comitato: Eugenio Calcagno e Giovanni Carlevaro, comunisti; Vincenzo Alberto Trucco, democristiano; l’ing. Santo Corte, liberale. Il C.L.N. novese nominò provvisoriamente Sindaco della città il liberale Biagio Martelli in attesa di libere elezioni, che si svolsero il 23 marzo 1946; il 31 marzo successivo il Consiglio Comunale, in base all’esito della consultazione popolare a suffragio universale (per la prima volta nella storia votavano anche le donne), elesse alla carica di primo cittadino Eugenio Calcagno, ferroviere, comunista. Dopo il nefasto ventennio, la democrazia era definitivamente stabilita.

(1) Pasquale Balestri. Il Novese, 21 aprile 1977
(2) Aldo Rossi. Il Novese 1987