Consigli per gli acquisti. Anzi no
Omaggio tardivo a Maurizio Costanzo, il titolo del meme di oggi fa il verso al suo proverbiale modo di chiamare la pausa dedicata alla pubblicità e di pubblicità la Rete ha saputo creare mille forme diverse, dai più classici banner, che talvolta ci inseguono dopo aver visto un prodotto senza averlo comprato, a quelle strane televendite che sui social media prendono il nome di “live shopping”.
Anche l’utente più distratto di Instagram si sarà reso conto infatti che gli influencer che promuovono ogni giorno un bene diverso non sono davvero dei fan dell’azienda che lo produce e, perché questa réclame sia il più possibile trasparente per i follower, da anni corre l’obbligo, nei post e nelle Stories, di segnalare tali consigli per gli acquisti con l’hashtag #adv, #sponsored o simili quando vi è stato un compenso in denaro o #gifted quando la promozione è stata pubblicata a seguito di un invio gratuito del bene a titolo di prova. Anche i link, contenuti all’interno di un testo, che rimandano all’ottenimento di codici sconto o ad un sito e-commerce dovrebbero vedere citato l’hashtag #aff.
Negli ultimi tempi però, accanto ai volti degli influencer, stanno emergendo le figure dei “deinfluencer”. Questi personaggi, forse non altrettanto seguiti, anziché invocare una scelta, stimolano una riflessione, cercano di mitigare un acquisto d’impulso e invitano a non cadere nelle trappole del marketing online. Sono stati ribattezzati prontamente con questo nome perché sono paladini del consumo critico evidenziando stili di vita alternativi e instillando dubbi in ciascuno di noi. In un mondo dove tutti adottano un tono assertivo, chi mette un pubblico interrogativo non è detto che non sia il benvenuto. Voci fuori dal coro, invitano le persone a non essere “solo” consumatori, ma a diventare persone consapevoli e cittadini adulti della Rete.
Che i social media siano però un mare dove si susseguono onde continue di mode presto destinate a sparire ne siamo tutti consapevoli e si può legittimamente immaginare che anche in questo caso ci si trovi di fronte dell’ennesimo hype acchiappa-like capace di sfruttare l’aggravio dei costi dell’inflazione e la scia della crisi economica. O forse appagare il desiderio frustrato dei disinfluencer di diventare tradizionali – e ben più pagati – influencer. In ogni caso, tutto è un consiglio: che poi si traduca in acquisti dipende da noi.
Dal 2016 è in vigore anche in Italia la “Digital Chart”, un regolamento dell’IAP (Istituto per l’Autodisciplina Pubblicitaria) sulla riconoscibilità delle comunicazioni commerciali diffuse attraverso il web, in cui rientrano anche i post sui social media, i video, le recensioni, i contenuti redazionali, le pubblicità che prevedano un accordo preliminare tra le aziende e i content creator.
Secondo questo documento, tali collaborazioni, quando retribuite, devono essere accompagnate da un disclaimer o da specifici hashtag che rendono evidenti le loro finalità commerciali. Anche le Stories vi sono soggette: secondo lo IAP, “i disclaimer devono essere sovrapposti in modo ben visibile agli elementi visivi di ogni contenuto promozionale”.
Gli hashtag più comuni sono:
- #Ad, #Adv o #Advertising quando vi è stata una trasmissione di denaro;
- #Gitfed o #supplied se vi è stato l’invio di una prova gratuita;
- #Aff quando si tratta di affiliazioni, utilizzato soprattutto per i codici sconto o per i link grazie ai quali il creatore di contenuti viene remunerato in ragione della performance.