Le sfilate e le danze del 1959 nell’Associazione Orafa Valenzana
Un nuovo viaggio nel passato della Città del Gioiello
VALENZA – Negli anni Cinquanta, per agevolare la soluzione di problemi interni ed esterni, nell’A.O.V., l’Associazione Orafa Valenzana, si dibatte sulla costruzione di una sede adatta a svolgere diverse funzioni: essere un luogo di riunione per i componenti dell’associazione, fornire locali per tutte le attività ad essa pertinenti e contenere una mostra permanente con i relativi servizi di informazione a disposizione di tutti i clienti per far conoscere i produttori e i commercianti orafi della città.
Dopo discussioni, trattative e molti sforzi, nel 1959 la sede dell’Associazione Orafa Valenzana, in via Mazzini 11, può dirsi completata. Il percorso, fatto di tanti scrupoli e pregiudizi, non è stato dei più facili, ma la Casa dell’Orafo (una palazzina, costruita sul finire dell’Ottocento, ex Villa Scalcabarozzi) risulta splendente e, con una presunzione parodistica, si dice che essa abbia una certa rassomiglianza con il Casinò di Sanremo. In tutti resta la convinzione di iniziare un’impresa non facile, che sarà lunga, impegnativa e piena di emozioni.
Al piano superiore della sede c’è la mostra permanente, che inizia a funzionare il 12 aprile 1959 e che sarà inaugurata ufficialmente il 16 luglio 1959 dal Capo dello Stato Giovanni Gronchi, quel giorno accolto dai valenzani in modo trionfale.
Abbinata all’evento, si tiene la prima grande festa nel giardino dell’associazione, sotto un singolare e bellissimo albero che lascia cascare i suoi rami a guisa di salice piangente, formando con essi una vasta cupola che riveste il viale composto di ciottoli grossi e piatti sporcati dal muschio. Sovrastata da un altro grande albero, c’è la pista per le danze e per le sfilate. La festa è una grande emozione per tutti, sarà intrecciata alla storia di Valenza e connessa al passato di questa associazione, ancora oggi nel cuore dei valenzani.
Facendo una cronaca stuzzicante della serata, ricordiamo che, quando l’orchestra, dal delicato nome di “Orchidea” ha già suonato musiche ora briose ora sentimentali e nessuno ancora si è deciso a rompere il ghiaccio, sgorga dai presenti un applauso spontaneo che costringe il presidente dell’associazione Illario ad aprire le danze con la bruna e simpatica interprete della Mostra Permanente, la signorina Lavalle; quasi subito, come se non aspettassero altro, diverse coppie scendono in pista con entusiasmo, appagando la loro voglia di movimento e di seduzione.
Poco dopo, però, la voce graziosa e modulata della signorina Rossetti annuncia l’avvio del défilé, durante il quale le indossatrici degli abiti Anfossi presentano gli incantevoli gioielli prodotti dalle aziende valenzane, che arricchiscono ulteriormente il loro abbigliato.
Dopo la sfilata riprendono le danze e, verso il termine della serata, la giuria comunica che non ha ritenuto di dover assegnare il primo premio a nessuna delle ditte orafe partecipanti e conferisce il secondo posto ex aequo ai gioielli dei Fratelli Lunati e dei Fratelli Robotti, mentre la terza posizione spetta, anche questa ex aequo, a Saverio Cavalli e alla ditta Dabene.
Pochi mesi dopo, la sera del 21 novembre 1959, con una sfilata di modelli della Casa Vacchetta di Torino, con il modus operandi che contraddistingue l’A.O.V., viene inaugurata, in modo sfavillante, la sede ricreativa dell’associazione, che è battezzata con il significativo nome di “Il Gioiello”.
È la parte dilettevole dell’Associazione Orafa Valenzana che può veramente definirsi un armonioso gioiello, essendo una sorta di miracolo costato fatica e sacrifici a tutti e a qualcuno più degli altri; ad esempio Piero Lunati, che fin dal primo giorno si è dedicato con passione alla sua realizzazione, coadiuvato da Baldi, Pagani e molti altri membri del relativo comitato, tutti prodigatisi affinché in ogni angolo della sede rifulgesse il bello.
La doppia scalinata conferisce all’ingresso, splendente di luce, un prestigioso aspetto di nightclub; dalle porte a vetri si entra nel corpo centrale del locale, che ha sul fondo un lussuoso bar; a destra, una fuga di arcate bicolori conduce ad altri due ambienti, riunibili con la semplice manovra di togliere il paravento; quello più vicino al bar è destinato a essere una saletta per la televisione, mentre l’altro ostenta un biliardo modernissimo.
Le inaugurazioni sono belle da vedere e la sfilata di moda è uno spettacolo di intensità. In questi tempi molta gente, agghindata con una corona di pregiudizi, tende ancora a percepire la sfilata come un vezzo mondano carico di snobismo, credendola non adatta a far parte di eventi di questo tipo; a ben vedere, questa è una barriera mentale molto limitante quando si vogliono creare e promuovere eventi di successo come questi.
In questa circostanza, data affluenza di pubblico, non sono utilizzate solo le sale ricreative, ma anche tutto il piano superiore. È interessante osservare le arcate policrome del piano inferiore e poi salire di sopra, dove ogni saletta dà l’impressione di una scatola sorpresa, con frange cadenti che ondeggiano come polvere di stelle, gremita di tavoli e di gente.
Verso le ore 21 il nuovo locale comincia a popolarsi, e il quasi silenzio di prima diventa un brusio, prima lieve e poi sempre più incalzante. Le signore e le signorine, accompagnate da giovani baldanzosi e da uomini distinti e più maturi – nessuno è anziano a questa festa, per lo meno non nello spirito – liberatesi dagli eleganti cappotti entrano dalle porte di cristallo e sfilano. Sì, non possono fare a meno di sfilare, poiché non c’è altra via che la guida rossa, che tra poco sarà il sentiero delle modelle, e l’incedere di queste casuali mannequins si fa involontariamente più elastico e più raffinato; è una graziosa anteprima, luccicante anch’essa di modelli originali e di belle donne, senza venalità.
Le signore, che erano entrate distaccate e quasi remote, apparentemente riservate, acquistano presto vivacità e mobilità, affrancando i loro uomini che, anche se provano a smentirlo, dimostrano una certa timidezza e imbarazzo, un’ossessione di riservatezza e di serietà che all’epoca ancora esiste.
Verso le ore 22, gli sfrenati avvenimenti premono. La signora Rossetti, simpatica presentatrice della sfilata, vezzeggiando tutti, dà il via alla parata di mode, e tutti gli occhi, pur con differenti finalità, si appuntano sulle luminose fanciulle, slanciate e poetiche, vestali della vanità femminile, che sfoggiano al pubblico grazia e bellezza. Fragorosi applausi accolgono i modelli particolarmente avvincenti e si ripetono al piano inferiore come fedele eco quando lo stesso capo viene presentato anche lì.
Negli occhi di molte ragazze si coglie un’espressione sognante e incantata. Al pubblico viene lasciato l’obbligo di intendere le idee del creatore, apprezzando i dettagli e la fattura di ogni singolo capo di abbigliamento presentato. Più o meno, tutti i partecipanti alla festa restano ammaliati dal portamento delle modelle, dall’abbinamento dei colori e dei capi. Qui tutto è stato studiato nei minimi dettagli per ottenere un’armonia fra la sfilata, gli effetti di luce e la musica.
Sulla fantasia di molti forse ha fatto presa anche il fatto che la casa presentatrice di questi modelli è la stessa che ha allestito il corredo di sposa della principessa Paola del Belgio, una fiaba del tempo di quelle che lasciavano ancora un’impressione nell’animo femminile.
Terminata la sfilata, è l’ora delle danze e, abbandonato ogni pallido ed evanescente sogno, conviene stringersi nel vortice del ballo e a una più solida gioiosa e cordiale realtà, che per ogni ragazza è rappresentata dal giovanotto che la stringe fra le braccia.
Ma non è scoccata l’ora solo per i giovani e per le ragazze, è l’ora di tutti, e di minuto in minuto la calca si fa sempre più animata e fremente quasi voglia impedire al tempo di trascorrere troppo veloce.
La festa si può dire ben riuscita in questo “Gioiello”, luogo che ha resistito all’impeto e alla confusione, in cui si vede trionfare l’umanità e la vita e i visi farsi sempre più aperti e cordiali mano mano che l’ambiente si riscalda; una vera festa per gli appartenenti a questa organizzazione, e per Valenza, che sarà ricordata anche dopo molti anni.
In città, però, non poteva mancare l’antipatia foriera di ilarità e di dileggio per questo mondo seducente un po’ snob, anche con lo sdegno di una certa porzione di valenzani e di quella politica poco allineata, con motivazioni, per quanto moderate, tutte da capire, poiché il giudizio morale dipende sempre dai punti di vista. Fortunatamente, non era ancora in voga portare le istanze della lotta femminista sulla passerella.
Sono cronache di un tempo con regole agli antipodi rispetto a quelle di oggi, di famiglie incurvabili capaci di perseguire certi risultati esistenziali, al contrario delle attuali formate sempre più da single, divorziati o separati in competizione. Folclore a parte, queste gale descritte sono state piccole gioie temporali che celebravano la magnificenza dell’essere vivi e che mantenevano i valenzani saldamente ancorati al tessuto delle emozioni.
Ma oggi, spazzata via dal tempo, il vero rammarico è che la fragranza di quei tempi non soffi più.