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    18 Febbraio 2025
    ore
    06:30 Logo Newsguard
    La lettera

    La Tari già pagata, le Pec mai lette e la disavventura (a lieto fine) di una lettrice

    Una vicenda lunga tre anni di ordinaria burocrazia. E se fosse toccato a una persona anziana?

    ALESSANDRIA – Riceviamo e pubblichiamo la lettera (firmata) di una lettrice. Che racconta una sua disavventura – per fortuna finita bene – legata al pagamento (peraltro regolare) di una vecchia rata della Tari.

    Caro Direttore,

    prima di tutto una doverosa premessa: per educazione ricevuta, studi fatti e inclinazione personale, ritengo non solo che il rispetto delle regole sia fondamentale, ma che non spetti solo alle istituzioni ma a ogni cittadino fare la propria parte perché il nostro (amato) Paese – e prima ancora la nostra (amata) città – possa crescere e migliorare.  

    Ma ora i ‘fatti’: ai primi di novembre 2022 mi viene notificata una ingiunzione di pagamento da parte di Ica Tributi per un avviso di accertamento Tari emesso a dicembre 2018 e relativo a un tributo del 2013. Importo da pagare comprensivo di interessi, spese, oneri etc etc? 156 euro…

    Le tralascio il tempo impiegato per capire esattamente a quale pratica la richiesta facesse riferimento, anche perché, avendo regolarmente pagato nei tempi dovuti (9 gennaio 2019), avevo potuto beneficiare di una  riduzione per saldo effettuato entro i 60 giorni dalla notifica (il rispetto delle regole, gliel’ho premesso….) . Di conseguenza, la mia bella e preziosissima ricevuta, alla fine,  sommava  112 euro…

    Le ometto pure il ‘pat pat’ che mi sono fatta sulla spalla al ritrovamento della ricevuta e – serena (illusa!!) – la tranquillità che mi attraversava dopo aver inviato una dettagliata Pec con l’intera documentazione richiesta. E – soprattutto – l’attestazione di avvenuto pagamento.

    La Tari che ritorna

    A fine febbraio 2023, però, Ica Tributi torna a suonare alla mia porta: stavolta per un sollecito coattivo, riferito sempre alla stessa pratica. Così, altro giro e altra corsa: nuova compilazione del modulo, nuova Pec, stessa ricevuta di pagamento.

    Tutto finito? Macchè! Ica Tributi si deve essere affezionata a me, perché qualche giorno fa mi arriva l’ennesima raccomandata. Stavolta, addirittura, con intimazione a pagare entro 5 giorni pena fermo dell’auto, ipoteca sugli immobili di proprietà e forse carcerazione dei parenti fini al secondo grado. Il tutto per una cifra salita nel frattempo a ben 196 euro.

    La faccio breve: chiamo il numero degli uffici di Ica Tributi Alessandria per due mattine di seguito negli orari indicati e non mi risponde mai nessuno; chiamo allora il call center e una gentile addetta emiliana mi precisa di non poter far nulla per la mia pratica. Tranne, dinanzi alle mie lamentele legate al fatto di aver già dimostrato con due diverse Pec che stavano continuando a chiedermi un pagamento già effettuato anni prima, ‘consigliarmi’ di non inviare una Pec, ma una semplice mail. “Perché le Pec possono non essere lette”… E, in buona sostanza, di recarmi presso gli uffici di via San Giovanni Bosco “perché da Alessandria capita che non rispondano neanche a noi internamente. E riceviamo diverse lamentele….”. Ma va?

    Così vado negli uffici

    Lascio a Lei i commenti che posso aver fatto a seguito della telefonata, ma Le anticipo che il peggio ancora non l’avevo visto. Dopo l’ennesima Pec (la terza, sì, mandata nonostante i ‘consigli’, quantomeno per interrompere il termine), mi sono recata presso gli uffici di via San Giovanni Bosco.

    Arrivo alle 8.30 (sulla pratica l’orario indicato per il ricevimento era dalle 9 alle 12.30), confidando di poter rapidamente risolvere tutto, in modo da arrivare al lavoro in tempo ragionevole (questa cosa che le persone preferiscano lavorare, invece di recarsi di persona negli uffici, scegliendo per puro diletto di mandare una Pec la trovo bizzarra, in effetti….), e trovo due porte: sulla prima il cartello “NO TARI”, sulla seconda “TARI”.

    Semplice, mi dico, e mi accodo a una signora già in attesa, in prossimità della seconda porta: il cartello per la verità diceva anche “si riceve solo su appuntamento”, peccato che nella testa mi risuoni “come? Se non rispondono al telefono e alla mail?”. In realtà, scopro che qualcuno è stato più bravo e fortunato di me, visto che una carinissima signora arriva poco prima delle 9 e – precisando di avere un appuntamento – osa bussare alla porta ancora chiusa. Sentendosi rispondere – testuale – “alle 9 mancano ancora 5 minuti, aspetti fuori, chiamiamo noi…”.

    Peccato che, a voler essere precisi come loro (direi quasi svizzeri, se non amassi troppo il mio Paese per nascondermi dietro stereotipi), chiameranno qualche minuto dopo le nove. Ma vabbè, non stiamo a sottilizzare: arrivato il mio turno, scopro che per la mia pratica devo andare in un altro ufficio (sì, proprio quello con sulla porta il cartello “NO TARI”….).

    Quindi la Pec non vale?

    Arriviamo così al momento clou della mattinata… Sarò forse stata un po’ sbrigativa nello spiegare all’impiegata dietro lo sportello che ero lì per dimostrare – dopo tre Pec – di aver già effettuato regolarmente un pagamento cinque (5!) anni prima, ma devo confessare che alla risposta “stia calma” ho fatto un po’ (tanta, tantissima) fatica. Specie dopo la lezione impartitami sul fatto che, dopo l’invio di una Pec, mi sarei dovuta (io!) interessare per accertarmi dell’avvenuta ricezione tramite una telefonata. Già, peccato che la Legge dica chiaramente che sia del tutto indifferente, ai fini della validità legale della Pec medesima, che il destinatario apra o meno il messaggio.

    La storia – burocraticamente parlando – ha comunque un lieto fine, visto che dopo l’inoltro via mail da parte degli uffici Ica a quelli del Comune del bollettino dell’avvenuto pagamento (“solo il Comune può verificare l’avvenuto pagamento”), nel giro di pochi minuti ho ricevuto una mail in cui un funzionario municipale – riscontrato il pagamento – chiedeva ufficialmente  il discarico totale della pratica.

    E se tocca a un anziano?

    Non Le nego però che lo sgomento resta. Davvero nel 2025 per la definizione di una pratica bisogna recarsi fisicamente negli uffici? Molti amici a cui ho raccontato questa singolare esperienza mi hanno detto che – pur di non perdere tempo – avrebbero ripagato, visto che la cifra non era eccessiva.

    Ma è davvero in tal modo che vogliamo gestire i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini? Io ho perso un po’ di tempo (e un po’ più di pazienza),  ma se una persona è sola, magari anziana, straniera o poco avvezza a gestire atti amministrativi, è questo il tipo di riscontro che deve trovare negli uffici pubblici? Io davvero non voglio credere sia così.

    In questo periodo si parla tanto di intelligenza artificiale e di come potrà migliorare l’efficienza anche della PA, rendendo l’interazione più fluida e migliore l’esperienza complessiva di ogni singolo utente.  Mi verrebbe da dire: a patto che l’IA sappia leggere le Pec e venga correttamente educata. E intendo in tutti i sensi.

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