Dopo una serrata battaglia legale, Ale può tornare a studiare Medicina
Il giovane era stato indicato come destinatario di un ingente patrimonio. «Ingiustamente», per i parenti della donna. Che aveva fatto testamento
Questa è la storia di una donna e un bambino nato da genitori che non potevano prendersene cura e che lo hanno affidato a chi poi lo ha cresciuto come un figlio. E di una ricca eredità contesa a colpi di denunce e procedimenti giudiziari durati due anni.
Tra i due c’è stato un legame affettivo che ha valicato il rapporto diretto di parentela, perché nonna e nipote lo sono diventati col tempo, affrontando la vita di tutti i giorni, con la presenza costante di lei in tutti i passi della vita di lui. Una storia serena fino a quando, nel 2022, la donna dal cuore grande è morta. E il ragazzo, poco più che adolescente, si è ritrovato – anche inaspettatamente – ad essere il suo erede universale.
Ma i guai erano dietro alla porta. In quello stesso periodo, infatti, è diventato un indagato: sospettato, insieme alla zia (naturale), di aver soppresso un testamento olografo a favore di una parente effettiva redatto moltissimi anni prima di quello che lo riguardava.
La battaglia prima civile e poi penale è durata due anni e si è conclusa lo scorso autunno a favore del ragazzo e di sua zia. A sancire la parola fine sulla dolorosa vicenda sono stati la Procura e il Gip alessandrino, quindi la Cassazione.
«Accuse infondate»
I protagonisti di questa vicenda sono Maria Franca Bonino, morta il 9 aprile 2022, suo nipote affettivo Ale Sbih, 21enne residente a Novi in strada Monterotondo (alla Tenuta La Rissa), e la zia del ragazzo Mina Sbih, 57 anni, per anni al servizio della Bonino.
Ale e Mina Sbih sono finiti sotto indagine a seguito di una denuncia presentata in Procura, ad Alessandria, da alcuni parenti della Bonino che abitano in Liguria e in Toscana. Il pubblico ministero Francesco Bruzzone, al termine delle indagini preliminari, ha chiesto l’archiviazione del fascicolo, ritenendo le accuse infondate (zia e nipote erano difesi dagli avvocati Daniele Amapane e Barbara Ghirotto). I parenti della Bonino si sono opposti all’archiviazione, ma il Gip Riccardo Ghio ha archiviato.
Ed è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione il ricorso con il quale i legali dei quattro famigliari della Bonino chiedevano a loro volta l’annullamento dell’ordinanza del Gip alessandrino.
Ora Ale Sbih può continuare i suoi studi e diventare medico, come promesso a colei che, insieme alla zia, lo ha cresciuto amorevolmente.
Una famiglia facoltosa
Come si sono svolti i fatti? Perché Procura e Gip sono arrivati alla sentenza di archiviazione?
Per comprendere il contesto, è necessario partire da chi era Maria Franca Bonino, che oggi avrebbe 84 anni. La sua figura emerge dalla memoria presentata dal legale di Ale e Mina Sbih, l’avvocato Daniele Amapane.
La Bonino proveniva da una famiglia molto facoltosa, possedendo svariate proprietà immobiliari a Genova ma anche in provincia di Alessandria e Asti, oltre a compartecipazioni in aziende farmaceutiche. Era un’attivista nel campo dei diritti degli animali, che accudiva con estrema dedizione accogliendoli nella propria tenuta “La Rissa” di via Monterotondo, a Novi. Ed era conosciuta proprio per la sua propensione ad aiutare gli altri, anche economicamente.
Nel 2001 entrò a far parte del personale di servizio della tenuta, come collaboratrice famigliare, Mina Sbih, di origini marocchine. Il loro rapporto lavorativo ben presto si trasformò in un legame più profondo, tanto che la Bonino supportò Mina e la sua famiglia offrendo loro sostegno economico, umano e concreto dal punto di vista burocratico.
Quando nel 2004 nacque il nipote di Mina, e saputo che la famiglia del piccolo non poteva accudirlo, lo accolse nella sua tenuta, dove già viveva e lavorava la zia.
Da quel momento inizia la loro storia famigliare: Ale viene allevato come un figlio, quello che la donna non ha mai avuto. Si fanno una sorta di promessa: raggiunta la maggiore età del ragazzo, la Bonino lo avrebbe adottato. Negli anni, infatti, la procedura formale di adozione non era stata possibile per la mancanza di alcuni requisiti, in primis l’enorme differenza d’età.
Ma il destino entra a gamba tesa nelle loro vite nel 2022: un mese dopo il compimento dei diciott’anni di Ale (il 12 marzo 2022), la donna muore. È il 9 aprile. Vero è che non si riesce a concludere l’adozione, ma la donna scolpisce le sue volontà in un testamento (datato 28 maggio 2023) che consegna al notaio: l’erede universale del suo importante patrimonio è proprio Ale.
La querelle sulla tenuta
A quel punto cosa accade? Se, fino ad allora, i rapporti tra zia, nipote e i parenti della Bonino erano ottimi – «affettuosi», li definisce Mina – a settembre di quell’anno il vento cambia, nonostante tutti fossero a conoscenza del forte legame tra nonna e nipote.
Qualcuno però ipotizza che non tutti i beni debbano andare al ragazzo. In modo particolare la querelle si focalizza sulla tenuta ‘La Rissa’. E spunta la foto di un legato, scritto nel 2011 (quindi molti anni prima rispetto a quello del 2021 in favore del giovane), secondo cui proprio la tenuta avrebbe dovuto andare a una cugina della Bonino.
La vertenza inizia con una richiesta di mediazione civile, in cui – scrive l’avvocato Amapane in una memoria presentata in Cassazione – si arriva a ipotizzare l’invalidità delle disposizioni testamentarie notarili per incapacità della testatrice. Poi giunge la denuncia penale.
Mina, sentita dagli inquirenti durante le indagini disposte dalla Procura, racconta che durante la mediazione alcuni parenti della Bonino dissero al ragazzo che avrebbe dovuto rinunciare alle proprietà di Genova o alla cascina: «Avanzarono proposte d’accordo e fecero vero terrorismo su Ale, perché gli dissero che, se lo avessero accusato di aver soppresso il legato del 2011, sarebbe diventato “indegno” e avrebbe perso tutta l’eredità».
Indagini e perquisizioni
Affiancati dall’avvocato Amapane, zia e nipote hanno però deciso di affrontare la battaglia legale.
A seguito della denuncia, la Procura dispose accertamenti e perquisizioni in cerca di quello scritto (di cui era stata proposta solo una foto), che si sospettava fosse andato distrutto. La perquisizione nella tenuta diede esito negativo. Le indagini difensive eseguite dai legali dei parenti della Bonino, però, mirarono a identificare chi scattò quella foto.
Ma, secondo i magistrati, c’erano incongruenze su quel ‘vecchio’ legato e la consulenza grafologica (presentata dalla difesa degli indagati) aveva concluso «per la falsità del documento, nemmeno reperibile poiché – scrive il Pm nella richiesta d’archiviazione – con ogni probabilità già distrutto da tempo dall’ignoto che lo ha messo in circolazione».
Discrasie erano emerse anche sul ritrovamento di quel testamento datato 2011: i famigliari della Bonino dissero di essere stati avvisati proprio da zia, nipote e un confidente della proprietaria della tenuta di una busta contenente quel foglio, ma di averlo poi lasciato per almeno tre mesi nel cassetto della tenuta dove era stato trovato.
Di diverso avviso Ale e Mina Sbih, che hanno spiegato agli inquirenti di non aver mai visto quello scritto. E del resto, secondo i magistrati, tutti gli accertamenti svolti hanno deposto a loro favore.