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Itineraria A.I.  
31 Maggio 2025
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Addio alle armi 1943-1945: la “catastrofe geopolitica” italiana

La tragica sequenza di eventi che condusse l’Italia prima dentro e poi fuori la Seconda guerra mondiale fu uno spartiacque non solo storico, ma soprattutto istituzionale.

Tuttavia, più che una rinascita, ciò che ne seguì fu un parto inerziale: lo Stato italiano, invece di risorgere come fenice dalle ceneri belliche, si assestò in una forma malcerta e provvisoria, diventata definitiva per via di una lettura politica, e non geopolitica, della sua disfatta. Il declassamento dell’Italia non fu tanto il frutto delle clausole dell’armistizio di Cassibile o del trattato di pace del 1947, quanto piuttosto della traumatica abdicazione dei vertici dello Stato alla propria statualità, culminata nella fuga ignominiosa da Roma. Il punto finale di tale dissoluzione si consumò lontano dalla capitale, nel porto di Ortona, dove Re Vittorio Emanuele III e Badoglio si imbarcarono sulla corvetta Baionetta, lasciando dietro di sé caos e panico, abbandonando la città al nemico. Sulle spiagge d’Abruzzo, lo Stato italiano si spense nella dignità prima ancora che nella forma.

Nel vuoto lasciato da due governi – quello di Salò e quello di Brindisi – privi di legittimità e ridotti a strumenti di potenze occupanti, prese forma un movimento che avrebbe rivendicato la propria statualità: la Resistenza. Non fu soltanto un moto di ribellione, ma un embrione di restaurazione nazionale. Il fronte militare clandestino, costituito da ufficiali dell’esercito, si formò subito dopo l’occupazione di Roma. Il Comitato di Liberazione Nazionale si dotò di un comando militare autonomo, il Corpo Volontari della Libertà, capace di resistere persino agli ordini alleati – come nel caso del proclama Alexander – e di organizzare insurrezioni urbane prima dell’arrivo degli anglo-americani. Il CLN nominò sindaci, prefetti, giudici, esercitando prerogative statali. Ma la pretesa si infranse presto: il disarmo fu imposto il 2 maggio 1945 e i prefetti partigiani furono rimossi. Lo Stato era troppo a lungo sprofondato per risollevarsi senza tutela esterna.

Dietro la tragedia politica, si consuma però un’altra frattura: una vera e propria catastrofe geopolitica. Come definì Vladimir Putin la dissoluzione dell’URSS, così può essere letta l’esperienza fascista italiana: un evento di crollo sistemico. Nel 1922, l’Italia era una potenza vincitrice della Grande guerra. Nel 1943, si ritrovava nazione occupata, industrialmente devastata, privata delle sue linee rosse strategiche.

Il regime fascista – a dispetto della sua retorica – non fu in grado di preparare il Paese a un conflitto meccanizzato. Peggio: distrusse in due decenni quanto costruito nei tre precedenti. Se la Prima guerra mondiale vide l’Italia conseguire tutti i suoi obiettivi strategici – la dissoluzione dell’Impero asburgico, il dominio sull’Adriatico, la sicurezza alpina – la Seconda ne rovesciò gli esiti: perdita dell’Istria, minacce francesi su Valle d’Aosta e Liguria, messa in discussione di Trieste e dell’Alto Adige, e infine l’ingresso permanente di basi militari straniere sul territorio nazionale.

Ma la più grave delle conseguenze fu la trasformazione dello Stato italiano in una struttura non-geopolitica. La continuità amministrativa tra fascismo e repubblica mascherò un vuoto più profondo: quello dell’autonomia strategica. Roma, da potenza regionale, divenne terra di proiezione di interessi altrui – americani, sovietici e vaticani – i quali avevano tutti motivo per promuovere una narrazione riduttiva e moralistica della crisi italiana.

Così, anche l’antifascismo partigiano fu trasfigurato in chiave pacifista, sradicandolo dalla sua natura originaria di lotta nazionale armata. L’Italia perse così consapevolezza del proprio spazio, della propria identità e, soprattutto, della natura della ferita subita. Così oggi si celebra una guerra tragicamente persa – la Seconda – e si dimentica quella vinta – la Prima. Perché, finché non si riconoscerà la dissoluzione geopolitica consumatasi tra il 3 settembre 1943 e il 2 maggio 1945, quella ferita continuerà a sanguinare.

Federico Sangalli

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Federico Sangalli, milanese, classe 1998, laureato in Scienze Politiche all’Università cattolica del Sacro Cuore, ha lavorato nel campo della raccolta e dell’analisi delle informazioni in campo sia editoriale che strategico, attraverso realtà aziendali consolidate (Fincantieri, Leonardo).

 

 

 

 

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