Sostanze tossiche nei dispositivi di protezione, i pompieri esposti ai Pfas: «Siamo vulnerabili»
Le tracce degli inquinanti rilevate nel sangue di vigili del fuoco in servizio e in pensione: lo rivela un’indagine condotta dal sindacato Usb e Greenpeace Italia
ALESSANDRIA – I vigili del fuoco sono una categoria più vulnerabile ai Pfas rispetto alla popolazione. Il motivo? La frequente esposizione con i liquidi schiumogeni e con i dispositivi di protezione individuale da indossare durante gli interventi.
I nuovi dati diffusi sulla presenza di tali composti sia nei dispositivi che nel sangue di 16 pompieri provenienti dai comandi di Catania, Padova, Verona, Alessandria, Genova e Pisa evidenziano un quadro poco rassicurante circa l’esposizione sanitaria della categoria. Un quadro emerso durante una conferenza stampa alla Camera dei Deputati organizzata dal sindacato Usb Vigili del Fuoco. Ad Alessandria sono tre i pompieri che si sono sottoposti ad analisi indipendenti. Il loro sangue è risultato positivo ai Pfas: hanno soglie per cui i medici consigliano un monitoraggio periodico.
L’indagine di Greenpeace e sindacato Usb
Questo è emerso durante una conferenza stampa alla Camera dei Deputati organizzata dal sindacato Usb Vigili del Fuoco (era presente anche uno dei coordinatori provinciali e nazionali, Giovanni Maccarino di Alessandria) in collaborazione con Greenpeace Italia. Hanno partecipato la dottoressa Vitalia Murgia di Isde Medici per l’Ambiente e la professoressa Claudia Marcolungo, docente dell’Università di Padova.
Chi ha fatto gli esami
Ad Alessandria sono tre i Vigili del fuoco che si sono sottoposti ad analisi indipendenti: uno attualmente in pensione, uno con 30 anni di servizio e un loro collega che lavora al comando da 15 anni. Il loro sangue è risultato positivo ai Pfas, ad un livello che i medici hanno consigliato il monitoraggio.
I dati diffusi sono frutto di un monitoraggio indipendente realizzato, come detto, da Usb in collaborazione con Greenpeace, portato all’attenzione della politica nazionale e agli organi competenti. Dati che evidenziano il problema dei Pfas, sostanze chimiche di sintesi a cui i Vigili del Fuoco sono esposti nelle loro attività lavorativa attraverso le schiume antincendio e l’utilizzo di dispositivi di protezione individuali.
I dati sierologici
I dati sierologici (analisi sul siero estratto dal sangue) che i 16 operatori hanno effettuato presso l’ospedale Universitario di Aquisgrana (Aachen) in Germania, hanno evidenziato valori non particolarmente elevati ma che superano la prima soglia di rischio individuata dalla National Academy of Sciences e suggeriscono l’avvio di un biomonitoraggio periodico per il personale.
«Oltre al Pfoa (noto cancerogeno) e al Pfos (possibile cancerogeno) – scrivono nella nota i vertici Usb – desta particolare preoccupazione la presenza nel siero di uno specifico composto: l’Adv che, in base a quanto noto, viene prodotto solo nello stabilimento ex Solvay, oggi Syensqo, di Alessandria».
Un rischio in più
Anche i dati relativi ai dispositivi di protezione individuale dei Vigili del Fuoco italiani confermano la presenza di un’alta concentrazione di Pfas e di Fluoro Organico, un parametro che stima la presenza di tutti Pfas (ne esistono oltre 10 mila molecole) non misurabili singolarmente.
Per i Pfas i Vigili del Fuoco sono doppiamente esposti: non solo come cittadini che possono entrare in contatto con queste sostanze attraverso acqua, aria, alimenti e prodotti di uso quotidiano ma anche a livello professionale, rendendoli doppiamente vulnerabili.
Le richieste
Alla luce di queste evidenze il coordinamento nazionale Usb fa delle richieste al Ministero.
«Mappare i siti contaminati da Pfas, l’analisi delle Sedi di Servizio e di tutte le attrezzature per la presenza di questi pericolosi inquinanti, la sorveglianza sanitaria degli operatori, un piano per l’eliminazione all’esposizione lavorativa attraverso una transizione Pfas-free nelle divise, nei dispositivi di protezione individuale e nelle schiume antincendio. Questi passi non sono più rinviabili – scrivono – e devono condurre al riconoscimento di categoria esposta e l’inserimento dei Vigili del Fuoco nei parametri INAIL per un effettivo archivio delle malattie professionali».
«Esiste un problema»
«I dati che abbiamo raccolto indicano chiaramente che esiste un problema Pfas per il settore dei Vigili del fuoco, una questione che non può più essere ignorata», dichiara Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia.
«Non è possibile mettere in pericolo la vita di chi già rischia molto per tutelare la collettività – insiste – Chiediamo che il Governo intervenga mettendo in sicurezza il corpo italiano dei Vigili del Fuoco, nonché vietando l’uso e la produzione di Pfas su tutto il territorio nazionale».
Ricordiamo che il Tribunale di Vicenza ha emesso una sentenza storica: i giudici hanno riconosciuto che la morte per tumore di un operaio che lavorò in un’azienda chimica di Trissino dal 1979 al 1992, è riconducibile all’esposizione ai Pfas.
Perché citiamo la sentenza del Tribunale vicentino e l’alert che arriva dai medici torinesi? Alessandria e la Fraschetta sono direttamente nel mirino dei Pfas, perché in questo territorio vengono prodotti.