L’inverno demografico dell’Est-Europa
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Itineraria A.I.  
31 Luglio 2025
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L’inverno demografico dell’Est-Europa

Il declino demografico dell’Est-Europa è iniziato con la crisi postcomunista e prosegue oggi tra emigrazione giovanile, politiche migratorie inefficaci e nazionalismi che ostacolano l’attrazione di nuova forza lavoro

Il declino demografico dell’Est-Europa è iniziato con la crisi postcomunista e prosegue oggi tra emigrazione giovanile, politiche migratorie inefficaci e nazionalismi che ostacolano l’attrazione di nuova forza lavoro

All’indomani della Seconda guerra mondiale, l’Europa orientale conobbe un’esplosione demografica che fece sperare i regimi socialisti in una forza lavoro abbondante e duratura. Gli anni Cinquanta e Sessanta segnarono effettivamente un aumento del benessere e della ricchezza, grazie all’industrializzazione e al controllo sovietico attraverso strutture come il Comecon. Tuttavia, con l’“Era della stagnazione” brezhneviana, l’economia cominciò a rallentare fino al collasso del sistema.

Dopo la caduta del muro di Berlino, la disgregazione del blocco sovietico e delle sue istituzioni lasciò i Paesi dell’Est in balia di transizioni economiche drammatiche. Il passaggio al capitalismo non fu indolore: crolli del PIL, inflazione, disoccupazione e crisi istituzionale caratterizzarono gli anni Novanta. Questo sfaldamento accelerò l’inverno demografico: dal picco del 1991, con oltre 300 milioni di abitanti, la popolazione è in continua diminuzione. La crescita economica del nuovo millennio, alimentata anche dall’ingresso nell’Unione Europea, non si è tradotta in una ripresa demografica.

L’immigrazione, potenziale rimedio alla crisi, non ha attecchito in questi Paesi: sebbene i flussi migratori netti siano positivi dagli anni Novanta, la capacità di trattenere gli immigrati è molto bassa. L’Est Europa registra ancora un’aspettativa di vita più bassa rispetto all’Ovest, e l’equilibrio tra nascite e decessi è negativo. Alla base vi è una difficoltà strutturale a formulare politiche migratorie efficaci, acuita da un’identità nazionale ancora fragile, eredità di decenni di internazionalismo forzato. Da qui il fiorire di formazioni ultranazionaliste e populiste, come l’AUR in Romania, Rinascita in Bulgaria, o Fidesz in Ungheria, che ostacolano l’integrazione degli immigrati.

A peggiorare il quadro, persiste una retorica nostalgica dei regimi comunisti, alimentata da partiti vetero-socialisti che, pur non opponendosi realmente al nuovo ordine, contribuiscono a scoraggiare i potenziali nuovi cittadini. I pochi partiti europeisti e inclusivi, come Piattaforma Civica in Polonia, faticano a mantenere il consenso in contesti dominati dal populismo e dal timore dell’altro.

L’instabilità politica è cronica: in Bulgaria, per esempio, si sono tenute sette elezioni parlamentari in due anni. Questo clima dissuade gli immigrati dal considerare l’Est come luogo di insediamento stabile, trasformando la regione in un corridoio di passaggio piuttosto che in una meta.

Accanto alla questione identitaria, pesano fortemente le carenze in materia di diritti civili e libertà individuali. Secondo Reporter senza Frontiere, la libertà di stampa è tra le più basse d’Europa, fatta eccezione per la Romania. La situazione delle comunità LGBT è drammatica: in Bulgaria i Gay Pride vengono scortati per motivi di sicurezza, e in Polonia esistono persino “zone LGBT-free”. Tutto ciò contribuisce all’emigrazione dei giovani e rende l’area ancor meno attraente per gli stranieri.

A completare il quadro, in nessuno di questi Paesi esistono normative solide sull’acquisizione della cittadinanza, rendendo l’integrazione quasi impossibile. L’atteggiamento prevalente è quello di un rifiuto dell’immigrazione, paradossalmente proprio nel momento in cui essa rappresenterebbe l’unica via per frenare il declino demografico.

Parallelamente, i flussi migratori interni svuotano le aree rurali a favore delle grandi città, aggravando lo squilibrio territoriale e compromettendo la coesione sociale. In Bulgaria, ad esempio, si prevede che la popolazione possa ridursi a 5 milioni entro il 2050, mentre Sofia continua a crescere.

La soluzione a questa crisi passa necessariamente per un ripensamento radicale delle politiche migratorie e per una riforma delle strutture economiche. La redistribuzione del reddito, resa possibile dalla crescita economica degli ultimi vent’anni, deve diventare lo strumento per contrastare il populismo e costruire un contesto sociale aperto e accogliente, capace di invertire la rotta demografica.

Matteo Andreoni

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Matteo-Andreoni-Itineraria Matteo Andreoni: laureato in Ingegneria Energetica al Politecnico di Milano, collabora dal 2024 con Itineraria Online.

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