“Dracula – L’amore perduto” di Luc Besson
"Dracula" di Luc Besson guarda al modello letterario del romanzo di Bram Stoker e a quello cinematografico del film di Coppola, ma non convince del tutto
Un eroe romantico
«Così ho riletto il romanzo e sono rimasto sorpreso da quanto fosse romantico, in realtà. Dimenticate la parte horror: è la storia di un uomo che aspetta quattrocento anni solo per dire addio, come si deve, alla donna che amava. È una cosa incredibilmente romantica. Da lì ho iniziato a scrivere, scambiandomi idee con Caleb, e abbiamo costruito tutto insieme».* Besson ricostruisce in questo modo la nascita del suo ventesimo film, tra gli ultimi in ordine di tempo a tentare una riproposizione del mito di Dracula – il vampiro, il non morto – dopo il “Nosferatu” di Robert Eggers (2024) e i due “Demeter-Il risveglio di Dracula” di André Øvredal e “Renfield” di Chris MacKay”, entrambi del 2023.
Dalla buona sintonia con l’attore americano Caleb Landry Jones, sul set di “Dogman” emerge il desiderio di tornare a lavorare ancora insieme, proponendo al pubblico una nuova storia incentrata su di un protagonista dalla forte personalità e di grande impatto sul pubblico: dopo avere scartato alcuni nomi piuttosto altisonanti, come quelli di De Gaulle, Gesù, Mao Tse-tung, Versace, Dalí, i due approdano a Dracula, che affonda le sue radici letterarie ottocentesche nell’omonimo romanzo gotico di Bram Stoker e quelle mitico-folkloristiche nella remota figura del principe di Valacchia Vlad III, figlio di Vlad II Dracul, dell’Ordine del Drago, vissuto nel XV secolo.
Di queste origini Besson riprende soprattutto l’assunto letterario che nel 1897 regalò nuova linfa vitale al personaggio del vampiro, tramite la pubblicazione del libro di Stoker, così come l’interpretazione che ne diede a livello cinematografico Francis Ford Coppola nel 1992. Più che una storia orrorifica, il “Dracula” di Besson è, in effetti, una storia d’amore disperata e dolente, con al suo centro un eroe romantico (nell’accezione letteraria del termine, dunque anche tempestoso, ribelle, rivoluzionario e sopra le righe) che attraversa i secoli alla ricerca della moglie perduta, condannato a un’eternità di dannazione per avere osato sfidare la volontà di Dio e la morte stessa. Caleb Landry Jones è, in questo contesto, del tutto adatto alla parte, rozzo e raffinato, dolce e aggressivo, seducente e ributtante, tollerante e spietato come si conviene a un antieroe e mostro dai mille volti e incarnazioni. Lo sguardo ceruleo di una certa vaghezza, l’aria un po’ selvaggia, vichinga, da ragazzo del Nord Europa, si appiccicano perfettamente al personaggio, insieme al trasformismo mimetico dell’attore, producendo una performance sopra le righe, scoppiettante e credibile.
Performance a cui fa eco brillantemente quella di Zoe Bleu Sidel, figlia d’arte (di Rosanna Arquette), nel doppio ruolo di Elisabeta, la quattrocentesca (molto erotica, persino un po’ volgare) principessa consorte di Vlad e della sua reincarnazione di fine 800′, Mina, assai più raffinata (e pudicamente trattenuta). Nel cast anche Christoph Waltz nel ruolo mediano di un prete cacciatore di vampiri (con il quale Besson pare sostituire o, quantomeno, assimilare il personaggio del professor Van Helsing, delineato come antagonista del vampiro già nel romanzo di Bram Stoker) e la nostra Matilda De Angelis, convincente e fosca nella parte della vampira Maria (alias Lucy) amica di Mina e sua sodale nel tentativo di riunione con l’antico Vlad.
Un romantico incontro tra Dracula (Caleb Landry Jones) e la moglie perduta Elisabeta (Zoe Bleu Sidel)
Tra Stoker e Coppola
«Avevo dimenticato che il libro di Bram Stoker trattasse di una storia d’amore», ha dichiarato Luc Besson, ospite in ottobre della Festa del Cinema di Roma, dove ha presentato in anteprima il suo “Dracula”. «Quando si ha a che fare con Dracula non si parla d’altro che di sangue, immortalità e orrore. In realtà è un uomo innamorato, disposto ad aspettare 400 anni per dire addio alla donna che ama. È così romantico! Odio i film horror, sono troppo pauroso». È senz’altro vero che l’opera di Bresson pone l’accento più sulla parabola amorosa, di passione e dannazione, che unisce Vlad/Dracula a Elisabeta/Mina rispetto alle atmosfere gotiche e decadenti che si evidenziano sia nel romanzo di Stoker che nel film di Coppola, quest’ultimo trasposizione rigorosa del modello letterario che ha inaugurato il filone vampiresco moderno.
La struttura di riferimento a cui Besson sembra rifarsi, sfortunatamente in maniera pedissequa, è la pellicola con protagonista l’insuperato Gary Oldman: fedeltà all’originale stokeriano a parte, ritroviamo in “Dracula – L’amore perduto” le medesime caratterizzazioni esteriori del conte in parrucca settecentesca e viso grottescamente deformato mentre abita il suo castello e poi del dandy ottocentesco frivolo frequentatore della buona società dell’epoca. Nell’immaginario bessoniano il Vampiro si svuota di senso rispetto a ciò che per lunga tradizione ha rappresentato nell’immaginario collettivo, al di là dei secoli e della diversità di culture: diventa il pretesto per un pastiche (anche sul piano visivo) un divertissement d’autore non fine a se stesso ma neppure troppo originale.
L’aspetto decrepito del Dracula di Laundry Jones, molto simile a quello interpretato da Gary Oldman nel film di Coppola
Profumi e gargoyle
«Hai quest’uomo che aspetta da quattrocento anni. Vuole ritrovare sua moglie. Può andare ovunque, ma da solo gli ci vorrebbe un’eternità. (…) A quei tempi non esistevano i giornali, non potevi pubblicare un annuncio tipo “Cerco disperatamente mia moglie”. Come poteva farlo, allora? Attraverso la musica, che arriva alle orecchie. Oppure con un profumo, che parla ai sensi. (…) Così ho scelto il profumo, come mezzo per attirare le donne. La cosa interessante è che lui ama una sola donna. Non gli importa nulla delle altre. Il profumo non serve per sedurre, ma per cercare, per avvicinare il ricordo di quella che ha perso». Così Besson spiega al “Cineocchio” la scelta di uno tra i “ganci” narrativi più innovativi del film, quello del profumo di cui Dracula si serve come richiamo olfattivo per ritrovare la donna amata.
Il collegamento più epidermico che si può fare è, ovviamente, quello con uno dei maggiori bestseller della seconda metà del 900′, “Il profumo” di Patrick Süskind (1985), da cui nel 2006 è stato tratto il film “Profumo-Storia di un assassino” per la regia di Tom Tykwer. Al di là delle possibili influenze e suggestioni letterarie, l’esca bessoniana funziona, vivacizzando almeno in parte un plot abbastanza convenzionale. Il secondo gancio, più estetico che narrativo, è rappresentato dagli aiutanti di Dracula, ritratti come i gargoyle, le statue della chiesa parigina di Notre-Dame introdotte nel XIX secolo dall’architetto Eugène Viollet-le-Duc e rese celebri a partire dal 1831 dal romanzo di Victor Hugo “Notre-Dame de Paris”.
Dietro i pittoreschi gargoyle ci sono – nell’immaginario di Bresson – gli infanti che Dracula si rifiuta di uccidere, trasformandoli in fedeli servitori al posto delle tre vampire di stokeriana memoria. La scelta è perfettamente in linea con lo stile fumettistico sbandierato da Bresson in questa volenterosa ma poco convincente rielaborazione del mito del Vampiro.
* “Il cineocchio”, 21/10/2025
Dracula in versione dandy ottocentesco
Regia: Luc Besson
Cast: Caleb Landry Jones , Christoph Waltz, Zoë Bleu Sidel, Matilda De Angelis
Sceneggiatura: Luc Besson
Fotografia: Colin Wandersman
Musiche: Danny Elfman
Scenografia: Hugues Tissandier
Produzione: Virginie Besson-Silla
Distribuzione: Lucky Red