Il mio viaggio in Ucraina. Giorno 3
Società
Giuseppe Codrino  
17 Dicembre 2025
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Il racconto

Il mio viaggio in Ucraina. Giorno 3

Arrivati in ospedale, scarichiamo nel giro di un’ora tutti e tre i furgoni: pannoloni, medicine, materiale sanitario, lenzuola, coperte, giochi e altro

IVANO-FRANKIVS’K – «Domani abbiamo detto alle 6:30 nella sala d’ingresso, anche se, dopo le ventisei ore di viaggio, non credo che ti sveglierai così presto», mi dice Marco Francia, prima di andare a dormire.

Questa mattina le strade di Ivano-Frankivs’k sono piuttosto deserte. Il termometro segna -3°.

Ci aggiriamo, Marco ed io, per Nezalezhnosti, la via centrale della città. Siamo alla ricerca di una caffetteria prima di entrare in palestra. Giriamo un po’ per il centro deserto (vista l’ora) ma non la troviamo. Sicché ci dirigiamo verso la nostra destinazione.

«Tutte le volte che vengo a Ivano, mi alleno qui», prosegue il mio compagno «non ho mai avuto problemi. È un bel posto».

Importante precisazione per chi ha letto i due giorni precedenti: Francia condivide lo stesso nome con il mio compagno di viaggio nel furgone, ma sono due persone distinte.

Atleta professionista

Marco Francia è un atleta professionista che pratica powerlifting. È campione mondiale di panca piana nella sua categoria. Si allena sei giorni su sette. Ieri, appena siamo arrivati, è corso (si fa per dire, vista la stazza) ad allenarsi. Dal momento che è venuto in Ucraina anche per un progetto futuro, i cui dettagli sono ancora riservati, le due giornate a disposizione, prima del rientro, sono piene. La mattina molto presto, quindi, è il momento in cui è sicuro di poter avere il tempo necessario per allenarsi.

Contro tutte le sue aspettative, come avete letto nella prima frase dell’articolo, l’ho accompagnato fino alla palestra.

«Mi alleno da circa vent’anni ma nel 2013 è cambiato tutto», mi confida «per dei problemi di salute ho dovuto abbandonare il pugilato e lo sport, in generale, per circa un anno: sono rimasto solo, in tanti, piano piano, si sono allontanati».

Non ha mai dimenticato quel senso di solitudine. Appena è potuto tornare nel mondo sportivo ha stravolto la sua vita e quella di molti.

Ha ripreso con gli allenamenti nella palestra, passando dal combattimento al sollevamento dei pesi e, nel mentre, si è avvicinato al mondo delle persone con disabilità: cognitive o fisiche. Si è laureato in Scienze Motorie.

Tante barriere

Nel 2019, con l’appoggio del servizio socioassistenziale di Casale Monferrato, nella palestra del centro Country Sport Village di Mirabello Monferrato, ha realizzato il primo progetto di inclusione.

«Le barriere maggiori sono l’empatia e il pietismo di noi cosiddetti normodotati. A me non interessa che cosa uno abbia o non abbia», continua con fare serio Marco. «Sono un coach esperto in questo, un modo per allenare tutti c’è sempre».

Quando c’è una guerra oltre i morti, ovviamente, ci sono anche i feriti.  Agire verso chi ha subito un’amputazione recente o altri traumi, portando attività e creando dei gruppi, aiuta. Marco in questi anni in Ucraina ha portato anche le sue abilità al servizio di chi ne avesse bisogno.

Prima delle nove torniamo nella struttura dove alloggiamo perché per quell’ora dobbiamo partire con gli altri (in tutto siamo in sei) verso l’ospedale pediatrico della città.

L’appello dei dottori

Luciano Cartolano (ne ho parlato nell’articolo di ieri) è in contatto con alcuni dottori della struttura. Quando necessitano di materiale gli scrivono e lui cerca di fare il possibile, in Italia, per trovarlo e gestire il trasporto.

Come questa volta dove Anteas-Trasporto Amico, nella figura di Luciano e altri membri, ha organizzato il viaggio, sulla richiesta precedente, al quale partecipo e scrivo.

Inoltre, c’è stato l’aiuto di un gruppo di club Rotary del distretto Basso-Piemonte e Liguria (2032), in particolare nella persona di Antonio Rossi (qui anche lui).

 

Arrivati in ospedale, scarichiamo nel giro di un’ora tutti e tre i furgoni. Da un magazzino nel lato esterno del cortile della struttura creiamo una catena umana passando: pannoloni, medicine, materiale sanitario, lenzuola, coperte, giochi e altro.

Ci ringraziano, scambiamo degli abbracci e una dottoressa in italiano ci dice: «Arrivederci, buon anno», poi prosegue in inglese «Wehope to meetin peace».

La trattativa e le speranze

Qualche ora prima, in Germania, Zelensky e diversi leader dell’Unione Europea stavano trattando sulle condizioni di garanzia da far accettare ai russi per questa sperata pace.

 

Usciti dall’ospedale proseguendo per l’incontro successivo, osservo una pubblicità in cui appare un Babbo Natale blu. Faccio qualche ricerca e scopro un aspetto del folklore sovietico: DedMoroz (Nonno Gelo).

Un personaggio che potrebbe ricordare per certi aspetti Santa Klaus. In realtà, leggendo un po’ su lui, scopro che le differenze sono molte: quello slavo porta i doni l’ultimo giorno dell’anno e va in giro con una nipotina, Snegurochka, senza elfi.

Come leggo da un articolo di qualche anno fa comparso su La Stampa e scritto da Anna Zafesova, gli ucraini negli ultimi anni si sono avvicinati più al nostro Babbo Natale. Nonno Gelo è certamente legato al mondo sovietico.

Quindi, quello in foto era DedMoroz? No. Era un semplice babbo natale blu.

La speranza di tutti

Ivano non ha quasi nessun addobbo natalizio, le uniche eccezioni sono i negozi. Tutti sperano che arrivi il dono più atteso, lo stesso evocato dalla dottoressa.

Metto nelle cuffie Imagine di John Lennon.

«YoumaysayI’m a dreamer

But I’mnot the only one

I hopesomedayyou’ll join us

And the world will live as one».

 

 

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