Il mio viaggio in Ucraina. Giorno 4
Codrino alla Casa di Accoglienza
Società
Giuseppe Codrino  
18 Dicembre 2025
ore
21:15 Logo Newsguard
Il racconto

Il mio viaggio in Ucraina. Giorno 4

Per la prima volta da quando siamo arrivati, lasciamo la città per dirigerci in una Casa di Accoglienza. E poi tappa da Padre Ivan

IVANO FRANKIVS’K – «Dovete venire più spesso perché sto dimenticando l’italiano», così ci accoglie suor Maria da una struttura a qualche decina di chilometri da Ivano-Frankivs’k.

Questa mattina, mentre facevo colazione, ho aperto il Corriere dal pc e ho visto in prima pagina: «Putin insulta i leader europei». Leggendo l’articolo nel dettaglio, noto l’appellativo con il quale il russo definisce i vertici: «maialini da latte». Chissà come accoglierà l’intervento di questi nei tentativi di fissare garanzie per l’Ucraina.

Usciamo dall’albergo per andare verso i furgoni. Di colpo il cielo tuona, guardiamo in aria. È nuvolo, ma non da temporale. Sono aerei da guerra. «Sono ucraini, non temete», ci dice in italiano un passante vedendoci con gli occhi in aria.

La Casa di Accoglienza

Per la prima volta da quando siamo arrivati, lasciamo la città per dirigerci in una Casa di Accoglienza: ospita bambine e bambini con le loro rispettive madri. Queste sono state vittime di abusi, violenze o in preda a qualche dipendenza e, all’interno di questo luogo, provano a trovare una svolta e una vita sostenibile con le loro creature.

È un centro che opera da quattordici anni ha accolto oltre mille bambini. È strutturato sostanzialmente così: al piano terra la cucina e la sala da pranzo, al primo piano l’infermeria e la cappella per le funzioni religiose, al secondo piano la camera dei giochi, mentre al terzo c’è il dormitorio.

Suor Maria ci ha offerto una colazione e nel mentre ne ha approfittato per raccontarci un po’ dell’ultimo periodo. «Vedete tutti gli addobbi di Natale ma pochi doni perché, in realtà, da noi si aprono nella notte fra il 5 e il 6 dicembre: il giorno di San Nicola», racconta, «È emozionante vederli aprire i regali che hanno chiesto e in più, grazie alla comunità, aggiungiamo qualche cosa, per farli sentire importanti».

 

 

La struttura lavora per ottenere massima autonomia fra la madre e il figlio. Le donne arrivano in difficoltà, ma grazie ai bambini, trovano spesso l’energia per andare avanti. «Da quando sono qui, soltanto con due madri non siamo riusciti a far riallacciare il rapporto con i figli», racconta suor Maria.

La guardo negli occhi mentre pronuncia questo e, incurante dell’altissimo successo di questa struttura, guarda per un po’ nel vuoto. «Ci abbiamo provato in tutti i modi», sospira. i mostra un’altra stanza.

Si ferma nel mezzo del corridoio e dice: «Non ci sostituiamo minimamente alle madri, siamo un loro supporto».

Tutti parlano italiano

Mentre ci mostra la struttura (alla quale saranno destinati parte dei giochi che abbiamo trasportato), vediamo passare altro personale: suore e padri. Tutti parlano l’italiano a livello base.

«Ogni tanto torna dal fronte un militare che abita qui vicino», ci racconta suor Maria, «non parla mai della guerra ai bimbi: devono avere un’infanzia».

«Immagino quanto sia difficile, anche se più lontani dal conflitto, ma comunque in all’erta costante, gestire le emozioni delle sirene a un’età così tenera», aggiunge Nuccio Floridia, fra i sei in viaggio, «gli hanno devastato l’infanzia».

Salutiamo e torniamo in città. Alle quindici ci aspetta Padre Ivan: vuole mostrarci un bene gestito dalla Chiesta Cristiana. Anche lui parla un ottimo italiano.

 

 

Arriviamo e ci accoglie, come mi dicono i miei compagni faccia sempre, con un sorriso che mai ti farebbe pensare a quante disgrazie abbia visto quest’uomo. «Seguitemi dentro l’ospedale, finanziato dalla Germania, voglio mostrarvi il centro di riabilitazione all’interno. È il vostro».

In che senso nostro? «Questo è stato finanziato dallo Stato Italiano è una eccellenza nel nostro Paese» ci racconta.

Ad accoglierci, con un caloroso abbraccio, la Direttrice della struttura. Ci farà da guida nel centro.

I doni

Anteas-Trasporto Amico ha già donato, qui, due mezzi di trasporto accessibili alle persone portatrici di disabilità. I veicoli compensano, in parte, la manza di adeguati servizi pubblici attrezzati per le diverse esigenze. Apre una porta: dentro ci sono quattro ragazze e un ragazzo, più un’assistente, impegnati nella riabilitazione. Sono emozionati di vederci.

Noi, nel vederli, lo siamo più di loro. «Si sono spesso sentiti emarginati; grazie a strutture come questa e a persone come voi, si stanno integrando», afferma Padre Ivan. «Qui gestiamo diverse tipologie di disabilità: da chi ci nasce a chi, a causa della guerra, lo è diventato», conclude.

Poi, in un momento che non saprei descrivere se non come quasi magico, guarda chi poco prima era impegnato nella riabilitazione e inizia a cantare in ucraino. Non capiamo. Prende il telefono e fa partire una canzone.

«Ma non è vero, ragazzo/ Che la ragione sta sempre con il più forte». Inizia a cantare, di nuovo ma in italiano: «Sogna, ragazzo, sogna».

«A maggio avete (Anteas-Trasporto Amico) organizzato qui a Ivano-Frankivs’k, un concerto: finiva con questa canzone», chiude Padre Ivan continuando a canticchiarla.

Proseguiamo con il giro. Arriviamo nella palestra dove un veterano, colpito dalle schegge di un missile, sta facendo esercizi. Fino a poco tempo fa, nessun dottore credeva che si potesse mai alzare dal letto; poi, è finito in questo centro specializzato e hanno capito che non era così.

Lo troviamo seduto su una carrozzina mentre, estremamente orgoglioso, ci mostra il primo video in cui riesce a camminare.

La riabilitazione, in generale, avviene su diverse fasi: la prima in cui viene fornito il primo aiuto. Dopo un po’, le persone vogliono tornare a riprendere la loro vita. Quindi, tralasciano il percorso per riprenderlo dopo aver risistemato la famiglia, la casa e il lavoro.

«È fondamentale lavorare sia sul recupero fisico dell’individuo sia su quello sociale», aggiunge la Direttrice, «Creiamo gruppi, spezziamo i timori e gli incubi del fronte. Lo facciamo insieme, per un recupero il più sereno possibile».

Vediamo il veterano riprendere a fare gli esercizi, ma poco prima di uscire ci chiama e dice in ucraino: «Ora qui sto bene, sono fra i fiori giovanili».

 

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