Il mio viaggio in Ucraina. Giorno 6
Società
Giuseppe Codrino  
20 Dicembre 2025
ore
21:15 Logo Newsguard
Il racconto

Il mio viaggio in Ucraina. Giorno 6

Oggi staremo tutto il giorno in viaggio. Arriveremo domenica nel primo pomeriggio ad Alessandria

I bambini sono uguali in tutto il mondo. Tu li guardi, mentre stai pensando, e sorridi.

I genitori sono uguali in tutto il mondo. Tu li guardi, mentre stai pensando, e sorridi.

Il tavolo alla nostra destra, mentre facevamo colazione, era composto da soli ragazzini.

«Crescere qui, non dev’essere per nulla facile. A molti di loro questa guerra ha rubato l’infanzia», osserva Nuccio.

L’opera di Irène Némirovsky

Non so bene perché ma, più volte, mentre scrivevo questo reportage, mi veniva in mente Suite francese di Irène Némirovsky.

Autrice nata proprio qui, in Ucraina, ma che, poco dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1918, si trasferì in Francia.

Era ebrea. Lo era negli anni in cui Hitler dichiarava guerra al mondo. Fu deportata ad Auschwitz. Morì nel 1942 all’interno del centro di sterminio. Nell’opera che ho citato scrive dell’esodo da Parigi di alcune famiglie francesi, in seguito all’arrivo dei tedeschi.

È un romanzo scritto in presa diretta, capirete bene.

Non fu mai terminato. È stato pubblicato incompleto a inizio degli anni Duemila.

Lei era già famosa alla sua epoca; lo è diventata ancora di più in questi ultimi anni. Inizia un romanzo formidabile, scappa e muore.

Nella Biblioteca del comune di Felizzano c’è una copia che prima apparteneva a me.

Il viaggio di ritorno

Oggi staremo tutto il giorno in viaggio. Arriveremo domenica nel primo pomeriggio ad Alessandria.

Mentre scrivo queste parole ho passato da poco il confine ucraino. Stiamo facendo l’attesa per quello ungherese. Fra uno e l’altro prevediamo un totale di sei o sette ore.

Ed è in questo momento che vi propongo la seconda riflessione che troverete in questo articolo.

Risale all’agosto appena passato. Un altro viaggio.

Ore 00:30h, treno notturno Kyiv-Odesa.

Non riesco a dormire. Eppure, la stanchezza che sto provando in questi giorni, dovrebbe, a un certo punto, farmi crollare. Credo succederà presto. Magari mentre leggo la biografia di Anna Achmatova, oppure ascoltando uno dei tanti podcast che mi tiene compagnia. Tuttavia, sento che non sarà questa la notte. Che succede? Troppi pensieri? Forse. Paura di che cosa possa cadere dal cielo nero? Il rumore delle esplosioni di qualche giorno fa? L’albero forato dai proiettili? Sono tutte immagini che non appena chiudo gli occhi si affollano nella mia mente, eppure sento che c’è altro.

Oggi pomeriggio ho scritto e ho fatto quattro chiacchiere, che poi, ora che ci penso, si possono fare di tutto, le chiacchiere, del tempo che fu, dell’oggi, oppure della vita che sarà o della guerra, io le ho fatte con qualcuno che mi ha raccontato la sua storia. Ho scritto per metà pomeriggio articoli o il mio reportage e l’altra metà ho parlato con quel ‘qualcuno’.

Il Tg dall’Italia

E intanto dall’Italia si sente il rimbombo dell’Ucraina da oltre tre anni. Tg1, ore 8:«Vi diamo un aggiornamento accaduto poco fa, a Kharkiv, nella notte, un drone ha colpito una stazione energetica e una palazzina, sei morti, ventitré feriti… ora passiamo all’Italia, oggi a Roma ci sarà il vertice per…». Arrivano frammenti di notizie drammatiche, mostruose, terribili e oscene.

C’è altro? La guerra è totalizzante? Che cos’è davvero? Sono le esplosioni? Oppure la sirena aerea che alle quattro del mattino ti sveglia, tu devi controllare che allerta è, che cosa c’è in avvicinamento, sei ancora in tempo? O, ancora, è normalità sfaldata: la necessità di uscire presto con gli amici perché, causa coprifuoco, entro mezzanotte bisogna essere a casa? È tutto questo più altri mille e mille e uno di cambiamenti nella vita.

Questo lo scrivo adesso mentre sono su un treno gremito, come tutti qui, dopo dieci giorni in un paese in guerra. Sono venuto per documentare la vita nelle città. Che siano lontane dal fronte, come Leopoli, o a pochi chilometri, come Kharkiv. Chi non è esodato o chi lo ha fatto ma è tornato, come spende la sua vita?

Ho davanti la biografia di Anna Achmatova, scritta da Paolo Nori, si intitola “Vi avverto che vivo per l’ultima volta”, estratto da una sua poesia.

Scrivo metà pomeriggio per raccontare le ultime volte di chi abita qui. Il fronte lo si vede tutti i giorni in televisione, i bambini in gita sulla Khreschatyk (forse la via principale di Kyiv) no. Il volontariato oppure come si divertano, come piangono e di che cosa? E il funzionamento della città, dei suoi sistemi, tutto? Per abbeverare la radice che sorregge questo, passo l’altra metà dei pomeriggi a fare quattro chiacchiere. E il pensare alle responsabilità di quanto le parole, quelle vere, che raccontano e non fingono, che narrano e non esagerano, possano mostrare il retro di pagina che non viene spesso mostrata, mi ruba il sonno.

Ieri il timore per essere a pochi chilometri dal fronte, oggi il senso di responsabilità.

Quale riposo?

01:44, speravo di addormentarmi scrivendo. Il riposo scompare con la guerra. Rumori, timori, trema la terra, tu passi le notti, in metro o piangendo.

Cara Odesa. Qui ho conosciuto la ragazza più forte ed elegante che abbia mai incontrato: Evelina.

Quando finirà la guerra andateci è stupenda.

Per Evelina.

I don’t like yourlittle dog,itwasalwaystrying to bite me.

But I like youverymuch. See yousoon

Con questa sesta giornata ho terminato.

Grazie alla redazione de Il Piccolo per lo spazio, a Chiara Principato per il supporto e a tutti voi lettori che siete arrivati fino a qui.

A presto.

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