Anselmi: «Arrivare prima e arrivare bene: è la grande sfida dei giornalisti»
"Dobbiamo essere testimoni del tempo, stando il più possibile vicino alla realtà"
ALESSANDRIA – Dice di arrabbiarsi ancora quando una notizia viene data in ritardo dalla “sua” Ansa, l’agenzia che ha guidato e di cui ora è presidente. «Mi altero, ma poi penso: be’, non sono più direttore, le arrabbiature spettano ad altri». Il fatto però che “ci stia male” è indice della passione che ancora ha per questo mestiere «che impone di arrivare prima, ma anche di arrivare bene».
Giulio Anselmi è un giornalista d’altri tempi, però modernissimo. Banale dire che chiacchierare con lui è istruttivo che tu sia collega (alla larga, comunque…) o “solo” fruitore di notizie.
Dottor Anselmi, due anni fa all’Acqui Storia ricevette il premio come ‘Testimone del tempo’. Noi giornalisti testimoni del tempo lo siamo ancora?
Dobbiamo esserlo, raccontando quel che accade e cercando di stare il più vicini possibile alla realtà, sapendo che la verità è in braccio agli dei.
Questo significa che l’obiettività non è raggiungibile?
Che l’obiettività non sia raggiungibile è l’alibi usato da chi nemmeno prova a essere obiettivo.
Il web non aiuta chi vuole informare.
Il nostro dovere è raccontare, confrontando le fonti per riuscire ad avvicinarci a quello che è realmente successo. Non c’è alternativa se vogliamo risultare diversi dai mille rivoli che scorrono sui social che, solitamente, danno spazio a voci come fossero verità. Ai media tradizionali, chiamiamoli così, viene chiesta serietà. E noi giornalisti dobbiamo verificare e controllare per offrire un’informazione corretta: è una vecchia regola che vale ancora.
Questo è a tutela dell’utente, sempre sperando che l’utente in questione, sia esso lettore, ascoltatore o telespettatore, se ne accorga.
Purtroppo le ‘fake news’ hanno sempre più appeal di ciò che ‘fake news’ non è. Sono viste con maggior interesse perché è ritenuto più succulento ciò che è offensivo, violento e pruriginoso. Va da sé che un utente accorto dovrebbe tenere d’occhio il livello di credibilità di chi fornisce la notizia. È questione di reputazione e la reputazione si acquisisce col tempo. Meglio, dunque, essere guardinghi rispetto a quel media che fornisce solo sciocchezze e, al contrario, prediligere chi, grazie alla credibilità, acquisisce autorevolezza.
Lei ha diretto importanti giornali e anche l’Ansa. Che, a proposito di reputazione, sta messa molto bene.
In effetti, siamo la prima agenzia italiana e la seconda in Europa. Reuters ci considera, ormai da anni, il media italiano più credibile.
Ma dato che neppure l’Ansa è infallibile, ci potrà raccontare un errore che avete commesso…
Niente di davvero clamoroso, ma di peccati veniali ne abbiamo collezionati a centinaia.
C’è una notizia data dall’Ansa di cui lei ha un ricordo particolare?
Luglio 1997, a Miami venne ucciso Gianni Versace. Fummo i primi a dare la notizia e, per un bel po’, rimanemmo gli unici. E io a chiedermi come mai gli altri non l’avessero ripresa. Mi preoccupai, domandandomi se avessi fatto bene a pubblicare. Per fortuna, la notizia risultò vera.
Non si dovrebbero rivelare le fonti, ma ormai sono trascorsi molti anni…
Per noi, a New York, lavorava un corrispondente che vantava una buona amicizia con la polizia di Miami. L’informazione arrivò da chi sapeva, effettivamente, che cosa era successo.
Insistiamo: una topica?
Diciamo che gli errori sono sempre legati al ritardo, rispetto ai concorrenti, nel dare le notizie. Ancora oggi, ogni volta che l’Ansa arriva dopo, mi irrito ma non mi interrogo più sui motivi, perché ormai non è più compito mio pormi certe domande.
E c’è qualcosa, nella sua lunga carriera di giornalista, di cui va particolarmente fiero?
Sono contento della scelta che, quand’ero condirettore del Corriere della Sera, facemmo ai tempi di Mani puliti.
Ce la ricordi.
Usammo quello spirito critico che non dovrebbe mai abbandonare chi fa il nostro lavoro. Ecco, lo spirito critico, all’epoca, era nei confronti dei magistrati.
Una scelta impopolare, ripensando a quei tempi…
Vero, ma neppure quella dei magistrati è una corporazione inattaccabile.
Dottor Anselmi, questo mestiere ha futuro?
Dipende da noi. Il parametro è la credibilità. Se tutto si assomiglia e si cede al desiderio di scalpore, è evidente che non va bene. Né si può trasformare ogni cosa in un permanente talk show. Oggi, inoltre, le informazioni devono tenere conto dei cambiamenti del nostro stile di vita. È impensabile che la gente indugi su un giornale o stia ore e ore davanti alla tivù. Pertanto, anche noi che informiamo dobbiamo essere accessibili.
Come?
Fornendo chiavi di interpretazione ed evitando di buttare tonnellate di informazioni a persone che non hanno né tempo né voglia. Questo non significa avere il messaggino come paramento, ma penso che, anche di fronte a un grande fatto, dalla morte del Papa alle infinite giravolte di Trump, sia insensato, per un giornale, andare oltre le 3 o 4 pagine.
La aspettiamo sabato ad Acqui.
Parteciperò all’Acqui Storia, un premio che la città sente molto suo. Il livello è molto alto, il contesto è vivace.