Avati: «Attratto dal cinema, lasciai la Findus. Ora do istruzioni a chi diventa vecchio»
Pupi Avati
Società
29 Dicembre 2025
ore
14:39 Logo Newsguard
L'intervista

Avati: «Attratto dal cinema, lasciai la Findus. Ora do istruzioni a chi diventa vecchio»

"Ogni sera, anziché pregare, ripeto i nomi degli amici che non ci sono più"

ALESSANDRIA – Pupi Avati ha 86 anni (87 il 3 novembre) e voglia di raccontare se stesso. Straordinario regista, stavolta fa notizia come autore di un libro, ‘Rinnamorarsi – Cronaca di sentimenti veri e immaginari’, edito da Solferino. «Non è un romanzo, ma un’autoanalisi» dice, spiegando di aver voluto celebrare, in 120 pagine, le persone e le cose che gli hanno segnato l’esistenza. E di cui, ora anziano, ha deciso appunto di ‘rinnamorarsi’.

Avati, la sua opera può essere considerata una sorta di bilancio di vita.
Io la definirei un libretto di istruzioni per chi diventa vecchio, una sorta di bugiardino come quello che si trova nelle confezioni dei farmaci. Ho avvertito il dovere di mettere per iscritto quello che ho scoperto con la vecchiaia, avendo ormai raggiunto una visione esaustiva della vita.

C’è un momento in cui questa “visione” è sbocciata?
Da ottant’anni in poi, tante cose mi sono diventate nitide. E penso sia giusto, attraverso questo libretto didattico e istruttivo, trasmettere le mie informazioni a chi diventa anziano. Mi sono dato l’opportunità di essere sincero con un’autoanalisi in cui appaio come davvero sono.

Lei però, mi consenta, è avvantaggiato dall’avere una lucidità invidiabile. Non è mica una dote così comune…
Ogni persona vive le medesime gioie, gli stessi dolori e analoghe soddisfazioni e insoddisfazioni. Da certi punti di vista, siamo tutti uguali.

Una protagonista del libro è sua moglie Amelia. State insieme da sessant’anni, pur tra infiniti litigi, come lei stesso ammette.
Certo. È un continuo litigare e rappacificarci. Col matrimonio capisci di avere a che fare con una persona diversa da quella con la quale, da fidanzati, si andava al cinema o a fare altro.

Dunque, cos’ha scoperto sua moglie di lei che, evidentemente, non si immaginava?
Che ero fintamente timido. In realtà, nascondevo forti ambizioni. E questo ha cambiato il flusso della nostra vita. Io, impiegato alla Findus, venni segnato dal film ‘Otto e mezzo’ di Federico Fellini. E così lasciai le certezze della Bologna provinciale degli Anni Sessanta per mettermi in gioco. Però bisogna ricordare che, una volta che si realizza un film, non è detto che tutto vada bene. È come quando al tavolo da poker dici «banco». Poi chiudi gli occhi e speri.

E lei cos’ha scoperto di sua moglie che, all’epoca del fidanzamento, non s’immaginava?
Che è orgogliosa e mossa da enorme forza di volontà e dalla dedizione per la famiglia. D’altronde, mica tutte le donne accettano di essere genitore unico di tre figli, visto che io, per ragioni di lavoro, la lasciavo sola. Benché non abbia per nulla apprezzato la mia scelta di dedicarmi al cinema, incertezze comprese, lei mi è rimasta accanto.

Confessi: la signora continua a rimproverarla.
Ovviamente sì. Lo faceva mia madre, lo fa lei, senza soluzione di continuità.

Che cosa le viene rinfacciato?
Che sono troppo evanescente e che non do importanza al denaro. Mia moglie, invece, è precisissima: gestisce un piccolo patrimonio immobiliare, con grande competenza in fatto di Imu e Irpef, argomenti molto distanti da me. Del resto, lei era figlia di un commercialista, io di un antiquario: le origini sono differenti.
Il libro ‘Rinnamorarsi’ non è solo un omaggio alla moglie, alla quale – si capisce – vuole un bene dell’anima, ma anche un’analisi profonda della sua vita.
Verso in quello stato d’animo in cui mi immagino il futuro di tutto quello che mi circonda. Ora sono nel mio studio, alla mia scrivania, circondato da un’infinità di libri. Ecco, quando morirò, che ne sarà di tutto ciò? In ‘Rinnamorarsi’ cerco di analizzare profondamente questo aspetto.

E si sofferma sul rapporto con le cose.
Sulla fisicità, direi. Sono un bibliofilo, ogni mio volume ha una ragione d’essere. È sistemato in quel tale punto per un motivo preciso. E quando morirò? Nessuno dei miei figli, per ragioni di ingombro, avrà la possibilità di accogliere i libri, me ne rendo conto perfettamente. E andranno al macero.

Rimarranno le sue opere.
Ecco, posso dire che, nella mia vita ho egoisticamente parlato di me. Quindi, attraverso i film, qualche traccia resterà. Mi auguro, dunque che, malgrado la dipartita, non sia destinato a sparire per sempre.

C’è un suo lavoro in cui si riconosce maggiormente?
Direi ‘Storia di ragazzi e ragazze’, un film che, fondamentalmente, è stato ispirato dai miei genitori. Lui antiquario, lei di famiglia contadina e operaia: venivano da mondi differenti che, in quest’opera, per l’appunto, si incontrano.

È un bel modo per non sparire.
Ne aggiungo un altro. Io ho il culto dei morti, che siano parenti o amici, gente che ha suonato con me nei jazz club o con cui ho condiviso importanti momenti della vita. Ogni sera rievoco queste persone, menzionandone i nomi. Lo faccio sempre, anziché recitare il Padre Nostro o l’Ave Maria.

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