Bray: «Anche l’espressione più detestabile va salvata: è testimonianza storica»
"Essere corretti nella lingua significa rispettarne le regole. E saperci giocare..."
ALESSANDRIA – Siamo in un’epoca vorticosa, dove le parole volano veloci e si ha quasi la sensazione che rischino di perdere senso. «Essere corretti nella lingua, significa sapere quando si può giocare con le parole e quando è importante rispettarne le regole», racconta Massimo Bray, direttore generale dell’Enciclopedia Italiana – nata dal sodalizio tra l’industriale e mecenate Giovanni Treccani e il filosofo Giovanni Gentile – che celebra quest’anno il suo primo centenario.
Professor Bray, come è cambiata Treccani? Quanto si è adeguata ai tempi e quanto ha difeso le sue caratteristiche storiche?
L’Istituto della Enciclopedia Italiana ha attraversato i grandi mutamenti del secolo tenendo fede alla missione originaria: portare la cultura nelle case degli italiani, fornendo un accesso certificato e autorevole alla conoscenza. L’Istituto è divenuto sempre più un punto di riferimento sicuro per generazioni di italiani che, nel corso dei decenni, hanno consultato le voci enciclopediche offerte primariamente su supporti cartacei e poi, con l’evolversi della tecnologia, con cd-rom e, in seguito, attraverso lo sterminato contenuto della banca dati, disponibile sul portale e sulle app per dispositivi mobili. Treccani, oggi, continua a tener fede al suo metodo di lavoro tradizionale, basato sull’autorialità e sulla rigorosa verifica editoriale dei contenuti, ma il campo di azione si è ampliato con innovativi strumenti per la scuola e l’alta formazione e con progetti di ampio respiro. C’è una continua ricerca di innovazione nel rispetto della tradizione. E nel descrivere i continui aggiornamenti che l’Istituto ha intrapreso nel corso di questo secolo per divenire ciò che è oggi, potremmo definirlo un laboratorio di analisi e interpretazione della contemporaneità fin nelle sue più complesse forme.
Siamo in un’era di neologismi, anglicismi ed espressioni gergali, spesso propri di specifici gruppi anagrafici. Il modo di esprimersi sta cambiando, ma come diventano ‘lingua’ le nuove parole?
Con il proprio Osservatorio della Lingua Italiana, Treccani effettua un costante monitoraggio delle attestazioni di nuove formazioni lessicali. Affinché un neologismo diventi una vera voce del vocabolario, la redazione lessicografica deve effettuare ricerche e controlli preliminari. Prima di tutto documentare che la parola o locuzione sia comparsa, per più tempo, in articoli di diverse testate giornalistiche, riviste, siti autorevoli d’informazione, con particolare cautela per le parole diffuse in usi gergali a rischio di alta deperibilità, che hanno bisogno di uscire dallo scritto-parlato dei social e trovare per l’appunto conferma, per un certo lasso di tempo, anche all’interno dei media generalisti. Un’eccezione che rende candidabile all’accoglienza tra i neologismi una parola – anche quando le attestazioni scritte non siano molte – è il caso in cui sia stata coniata da una persona nota e di un certo peso o autorevolezza pubblica, come, per es. ‘terza guerra mondiale a pezzi’ di Papa Francesco o ‘Maga’ , usato in italiano per definire i trumpiani oltranzisti, acronimo di uno slogan creato dal presidente Usa, Donald Trump.
Come pensa che la lingua italiana possa essere valorizzata e promossa nella società contemporanea, considerando l’importanza della comunicazione digitale?
Se in passato l’urgenza era quella di unificare linguisticamente un Paese ancora fortemente diviso da dialetti e tradizioni locali, oggi l’attenzione si concentra su nuove trasformazioni che nascono da una società globale, digitale e sempre più attenta alle questioni sociali e culturali. Un uso più consapevole della lingua può essere favorito anche da un atteggiamento critico su singoli aspetti come, per esempio, il frequente ricorso ai forestierismi e, in particolare, agli anglicismi: consigliarne un uso motivato non è protezionismo linguistico, ma la consapevolezza che il loro impiego, spesso spinto dalla moda e non dalla necessità, rischia di indebolire le numerose alternative italiane utilizzabili. Social media, messaggi, chat, meme, podcast hanno trasformato il modo in cui parliamo e scriviamo. La lingua, in rete, cambia rapidamente: nascono abbreviazioni, nuovi modi di dire, espressioni che diventano virali da un giorno all’altro. Anche in questi casi Treccani studia i fenomeni linguistici contemporanei, perché essere “corretti” nella lingua significa, anche, sapere quando si può giocare con le parole e quando è importante invece rispettare le regole.
Quali sono, oggi, le parole più ‘sentite’ dagli italiani e, se posso chiedere, da Lei stesso? Se potesse, ne eliminerebbe qualcuna in particolare?
Ne propongo due che dovrebbero condividere tutti i soggetti impegnati nella diffusione della conoscenza e dell’informazione: rispetto, scelta da Treccani come parole dell’anno 2024, e responsabilità, la parola dell’edizione 2025 del Festival Treccani della lingua italiana. Preferisco, invece, non indicare parole da eliminare: sono convinto che ogni parola, realmente utilizzata, debba essere preservata per non perdere il contatto con la dimensione del passato e della storia. Anche le espressioni più detestabili e superate devono essere registrate nei dizionari – precedute dai necessari avvertimenti che segnalino al lettore il collegamento a pregiudizi o luoghi comuni tramandati dal passato, ma oggi riconosciuti come completamente infondati – rimanendo, quindi, come testimonianza sociale, storica, letteraria, del passato.
Lo studio, l’informazione, più banalmente le ricerche e i compiti scolastici corrono sul digitale. Stare al passo con i tempi non è facile. Rimarrà uno spazio per la carta?
Quando si parla di contrapposizione tra cartaceo e digitale si tende spesso a generalizzare, parlando in termini allarmistici di una prossima scomparsa del primo a favore del secondo: lo scenario è molto più complesso. Se è innegabile, infatti, che le testate giornalistiche cartacee stiano cedendo il passo alle digitali – che garantiscono l’immediatezza dell’aggiornamento, a cui gli utenti anelano in un mondo in cui l’informazione è sempre più spettacolarizzata – è anche appurato, ormai, che il libro cartaceo sta riguadagnando terreno rispetto all’e-book per il suo valore simbolico e la sua permanenza fisica nella percezione dei lettori. In molti campi, come quello dell’editoria scolastica, scientifica e di pregio, i due supporti si sono già dimostrati perfettamente in grado di interagire e sostenersi a vicenda, creando nuovi modelli crossmediali di apprendimento e di elaborazione della conoscenza. Semmai la sfida fondamentale, oggi, è quella di insegnare ai lettori-utenti a distinguere tra il sapere certificato e la massa caotica di dati offerti dalla Rete per aiutarli a districarsi nella sovrabbondanza delle informazioni, spesso condivise e assimilate senza preoccuparsi della loro effettiva validità. Si tratta di una sfida affascinante e complessa, specialmente a fronte del rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa con le sue potenzialità illimitate, ma anche con le sue molte ombre. Il digitale, come il cartaceo, sono solo mezzi che possono essere usati in modi diversi: sta a noi lavorare perché vengano utilizzati in modo virtuoso per incrementare un accesso democratico e condiviso a una informazione completa e attendibile.