Ferdinandi: «Visione condivisa per valorizzare l’identità culturale del Monferrato»
Sergio Ferdinandi
Società
29 Dicembre 2025
ore
14:37 Logo Newsguard
L'intervista

Ferdinandi: «Visione condivisa per valorizzare l’identità culturale del Monferrato»

"Il lavoro dell’archeologo è fatto di rigore e metodo scientifico"

ALESSANDRIA – Amministrazione pubblica, politica e cultura, sebbene rispondano a logiche e strumenti differenti, sono ambiti che convergono verso un obiettivo condiviso quando si parla di tutela e valorizzazione del patrimonio, inteso come risorsa strategica per la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile. Una politica culturale efficace, infatti, non può prescindere da una visione ampia e da una cooperazione stretta con l’amministrazione e con il tessuto culturale di riferimento: solo così è possibile attivare processi virtuosi in grado di attrarre investimenti, rafforzare la coesione sociale e stimolare la costruzione di reti collaborative, come ha spiegato a “Il Piccolo” Sergio Ferdinandi.

Dottor Ferdinandi, quali sono le principali strategie per la tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici in Italia?

Oggi, più che mai, è necessario un approccio integrato, multidisciplinare e multilivello per valorizzare il patrimonio come motore di sviluppo economico, sociale e identitario. Servono modelli di governance collaborativa – partenariati pubblico-privati, reti museali e comunità locali – che mostrano una maggiore capacità di resilienza ed efficacia nella gestione territoriale del patrimonio culturale, promuovendo economie di scala e condivisione di competenze. Occorre sviluppare strategie di tutela che privilegino una programmazione territoriale sensibile alle specificità locali, con un approccio preventivo e non emergenziale. La complessità del quadro istituzionale – con una frammentazione delle competenze tra livelli nazionali, regionali e locali che spesso si traduce in una gestione burocratica rigida e poco flessibile – è una delle criticità principali da risolvere: le Soprintendenze, infatti, devono fare i conti con i mutamenti del quadro normativo, che ne comprimono competenze e giurisdizione, e con risorse economiche e umane limitate, che rischiano di compromettere l’efficacia delle azioni di tutela. A ciò si sommano le minacce derivanti dai cambiamenti climatici, che compromettono sia i beni materiali che il paesaggio, rendendo evidente come la sostenibilità ambientale debba essere parte integrante della conservazione culturale. Infine, ostacolo ulteriore è la scarsità e instabilità delle risorse finanziarie per la manutenzione ordinaria e gli interventi di restauro, nonché la carenza di personale qualificato specializzato nelle molteplici discipline coinvolte. La digitalizzazione – anche grazie alle politiche nazionali e ai finanziamenti europei del Pnnr – ha un potenziale dirompente, in questo contesto, ma deve essere adottata in modo consapevole con scelte orientate alla sostenibilità, all’interoperabilità e alla durabilità, evitando approcci puramente estetici o di marketing.

Pensando al Monferrato, che strategie potrebbero essere vincenti per il recupero dell’identità storica e culturale?

Il Monferrato è un caso emblematico di territorio caratterizzato da una profonda stratificazione storica, culturale e paesaggistica, la cui identità risulta fortemente influenzata da dinamiche locali che spesso accentuano particolarismi campanilistici. Alla luce delle moderne teorie, è necessaria una strategia integrata, in grado di conciliare la conservazione delle specificità locali con la costruzione di caratteristiche culturali condivise e riconoscibili. Serve un’azione combinata di conservazione e valorizzazione sia del patrimonio tangibile (castelli, chiese, architetture rurali, paesaggi culturali) sia di quello intangibile (dialetti, rituali festivi, tradizioni enogastronomiche, pratiche agricole tradizionali). Solo un’attenzione equilibrata a entrambi gli aspetti consentirà di rafforzare il senso di appartenenza e favorirà la resilienza culturale delle comunità locali. Una strada potrebbe essere la progettazione di itinerari culturali tematici che colleghino tra loro i diversi comuni, promuovendo un’offerta culturale omogenea con il coinvolgimento delle comunità locali. La tecnologia, ancora una volta, è un valido aiuto: l’adozione di piattaforme digitali interattive, le applicazioni mobili per l’interpretazione dei beni culturali e le tecnologie immersive possono amplificare la narrazione territoriale, rendendo l’esperienza culturale più accessibile e coinvolgente per target eterogenei. La riconversione funzionale in chiave culturale delle aree industriali dismesse, ad esempio, è una strategia di rigenerazione territoriale ad alto valore aggiunto, capace di coniugare la tutela dell’identità storica con la promozione dello sviluppo sostenibile. Un esempio? Il progetto elaborato dal Comune di Acqui Terme per la riqualificazione dell’ex stabilimento industriale “Kaimano”, trasformato in polo culturale multifunzionale.

Come creare un linguaggio corale che identifichi il Monferrato come brand, andando oltre le specificità campanilistiche che ha citato?

È necessario partire da valori condivisi e strumenti narrativi capaci di restituire la complessità e la ricchezza autentica del territorio, con un approccio sistemico e inclusivo che coinvolga l’intero tessuto sociale e istituzionale. Gli aspetti comuni delle comunità monferrine sono le fondamenta su cui costruire una narrazione collettiva, capace di unire e non dividere. A questo va affiancata la definizione di un linguaggio visivo e simbolico univoco: un insieme coerente di immagini, colori, storie e segni identitari in grado di evocare immediatamente l’essenza del Monferrato, rendendola riconoscibile, replicabile e comunicabile. È attraverso il racconto di storie inclusive che parlano di persone, luoghi e saperi che si può costruire un brand territoriale autentico e duraturo. La dimensione partecipativa è imprescindibile: solo attraverso una governance collaborativa e multilivello sarà possibile generare un progetto di branding territoriale efficace, capace di posizionare il Monferrato come un modello virtuoso di valorizzazione culturale e sviluppo sostenibile.

Il ricco patrimonio archeologico locale – seppur spesso poco noto – può essere una opportunità da sfruttare?

L’archeologia può rappresentare una chiave di volta a condizione che si superino le logiche conservative e specialistiche per abbracciare un approccio multidisciplinare incentrato sulla fruizione pubblica e l’innovazione tecnologica. In Monferrato si osserva una prevalente adozione del cosiddetto modello di ricopertura/backfilling post-scavo, finalizzato alla tutela preventiva dei siti. Sebbene l’approccio risponda a esigenze di protezione a breve termine, genera una sostanziale limitazione della visibilità e accessibilità del patrimonio archeologico, confinandolo in una dimensione specialistica, riservata agli operatori del settore. Una gestione contemporanea del patrimonio culturale richiederebbe un paradigma che integri conservazione e valorizzazione, secondo le direttive internazionali e le “best practices” di musealizzazione e comunicazione culturale: la realtà aumentata e virtuale, ad esempio, consente la ricostruzione immersiva e interattiva dei contesti archeologici originari, favorendo maggiore comprensione e coinvolgimento. Questi strumenti possono essere integrati con percorsi tematici e museali. Infine, per favorire un impatto socio-economico positivo, i siti archeologici devono essere connessi con altre risorse culturali, naturalistiche e enogastronomiche.

Lei ha condotto missioni archeologiche importanti. Nell’immaginario collettivo l’archeologo è un novello Indiana Jones: come far uscire dal ‘mito’ una professione fatta di rigore, precisione e tanto studio?

Sminuire il mito dell’archeologo-avventuriero richiede un approccio integrato fra analisi storico-critica, comunicazione scientifica trasparente e sviluppo di competenze manageriali per valorizzare l’archeologia come professione complessa, capace di dialogare con le sfide culturali e identitarie del mondo contemporaneo. L’archeologo è stato spesso identificato nell’eroe romantico e avventuroso, un esploratore solitario impegnato in scavi spettacolari alla ricerca di reperti leggendari. È una costruzione narrativa che banalizza la complessità di una disciplina che si fonda su un rigoroso metodo scientifico, caratterizzato da procedure stratigrafiche sistematiche, analisi interdisciplinari e una costante attenzione alla contestualizzazione dei reperti. Inoltre, il lavoro sul campo è spesso gravoso, implicando condizioni ambientali avverse, lunghe sessioni di scavo e un intenso impegno fisico e intellettuale. È una consapevolezza critica indispensabile per un ripensamento etico e metodologico della disciplina contemporanea e la comunicazione scientifica gioca un ruolo cruciale nel superamento di stereotipi e miti. L’archeologo contemporaneo è infatti un professionista con una funzione manageriale e strategica, con competenze di governance culturale, pianificazione territoriale e gestione sostenibile dei beni archeologici.

Con le nuove tecnologie, come è cambiato il lavoro dell’archeologo?

C’è stata una trasformazione nei protocolli di scavo, nella documentazione stratigrafica e nell’analisi dei dati, con una svolta epistemologica e metodologica. Il passaggio da tecniche tradizionali, basate su rilievi topografici manuali e registrazioni cartacee, all’impiego di strumenti quali il LiDAR, la fotogrammetria digitale e i sistemi Gis, ha aumentato la risoluzione spaziale e temporale delle indagini. L’utilizzo del LiDAR consente di acquisire dati altimetrici ad alta precisione, penetrando attraverso la copertura vegetale per rivelare strutture archeologiche sepolte in ambienti complessi, come foreste o aree collinari. La fotogrammetria digitale, con la restituzione di modelli tridimensionali poligonali, permette così la creazione di ortofoto georeferenziate e modelli digitali di superficie, fondamentali per l’analisi morfologica e per il monitoraggio conservativo dei siti. Parallelamente, l’integrazione di sistemi Gis ha rivoluzionato la gestione e l’interpretazione delle informazioni spaziali, consentendo l’elaborazione di analisi complesse come quelle di visibilità, la modellazione di costi di percorso e la ricostruzione delle dinamiche insediative nel tempo. Sono strumenti che facilitano la sintesi tra dati archeologici puntuali e il contesto paesaggistico più ampio, abilitando approcci integrati di “landscape archaeology” e di analisi territoriale. Nelle fasi di post-scavo, poi, le piattaforme digitali di gestione dati consentono una digitalizzazione strutturata e interoperabile dei reperti, agevolando la tracciabilità stratigrafica e la correlazione tra contesti. È essenziale, tuttavia, che il loro impiego sia inserito all’interno di un quadro teorico solido, che riconosca il valore insostituibile dell’interpretazione critica e dell’approccio interdisciplinare, evitando il rischio di spettacolarizzazione. La sfida futura risiede quindi nell’equilibrio tra innovazione tecnologica, rigore scientifico e responsabilità sociale.

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