Generale Risi: «L’orgoglio di essere Alpini, mettendo il noi prima dell’io»
"È sempre valido un principio: nessuno deve rimanere indietro"
ALESSANDRIA – Da poco più di un anno, il generale Michele Risi è il comandante delle Truppe alpine. Alla vigilia del raduno di Alessandria, dove è previsto l’arrivo di migliaia di penne nere dal Nord Ovest d’Italia con i loro familiari, è lui l’interlocutore principale per parlare dell’importanza e del significato stesso dell’essere un alpino.
Generale Risi, perché il corpo degli Alpini continua ad avere fascino?
Il fascino del Corpo degli Alpini non è mai venuto meno, e anzi oggi forse è ancora più forte. Viviamo in un’epoca segnata da grandi cambiamenti, dove molte delle certezze che hanno accompagnato la nostra società sembrano sgretolarsi. In questo scenario di instabilità, gli Alpini rappresentano un punto fermo: incarnano valori semplici e solidi – la lealtà, il coraggio, lo spirito di sacrificio, la concretezza, la disponibilità ad aiutare – che non passano mai di moda e che parlano tanto ai giovani quanto ai meno giovani.
Gli Alpini hanno sempre avuto un legame profondo con la popolazione.
Sì, perché sono nati dalle comunità alpine, e per questo non sono mai stati percepiti come una realtà distante, ma come parte integrante del tessuto sociale: i figli, i fratelli, i vicini di casa. Questo radicamento li rende credibili agli occhi della gente, perché ognuno ha incontrato, conosciuto, condiviso qualcosa con un alpino. La storia ha rafforzato questo fascino. Le immagini delle trincee ad alta quota nella Prima guerra mondiale, le marce infinite nel fango e nella neve in Grecia, il sacrificio sul fronte russo hanno creato il mito dell’alpino come soldato capace di resistere dove nessun altro poteva.
Però non è solo mito, ma anche “attualità”.
Certo, anche spirito di corpo, solidarietà assoluta, il principio che nessuno va lasciato indietro. Oggi, che ognuno di noi cerca nuovi punti di riferimento, questo patrimonio morale è un’eredità attuale. È ciò che rende gli Alpini non solo un corpo militare d’élite, ma una comunità di valori a cui guardare con fiducia. Il loro esempio parla al futuro del Paese, perché in mezzo al cambiamento le persone sentono il bisogno di affidarsi a chi è rimasto fedele a se stesso, autentico, affidabile.
E poi c’è il simbolo: il cappello con la penna nera.
Un’icona che non è soltanto un segno distintivo, ma un impegno, un’eredità da onorare e trasmettere. È forse questo il segreto del fascino alpino: il cappello rappresenta la continuità in un mondo che cambia.
Alpini vuole dire senso di appartenenza. Che cos’hanno gli Alpini “in più” rispetto ad altri Corpi?
C’è una particolarità che distingue gli Alpini, ed è il legame indissolubile con la montagna. Lì si forgia la nostra identità: attraverso un addestramento duro e rigoroso si impara a convivere con la fatica, con le difficoltà imposte dalla quota e dal clima, con la necessità di resistere anche quando le condizioni sembrano proibitive. In montagna si diventa resilienti e si sviluppa quella solidarietà spontanea che porta ad aiutarsi sempre l’un l’altro. Il soldato di montagna – come un alpinista – non affronta solo ostacoli fisici, ma anche prove emotive e decisionali, perché deve saper operare in contesti in cui il rischio è concreto e immediato. Questo forma uomini e donne capaci di prendere decisioni rapide, di reggere la pressione e di agire con lucidità anche in condizioni estreme. Ma c’è un elemento nuovo.
Quale?
La consapevolezza di appartenere a un corpo scelto, versatile, moderno, che integra la tradizione con l’innovazione tecnologica. I nostri reparti si addestrano non solo alla tecnica militare classica, ma anche all’impiego di sistemi digitali, sensori, mezzi e materiali di ultima generazione, capaci di sostenere l’operatività in ambienti estremi. Questa combinazione unica di formazione specialistica, addestramento in ambienti severi e capacità di innovazione consolida lo spirito di appartenenza e di fratellanza in armi che da sempre caratterizza le unità alpine.
Come possiamo garantire la sopravvivenza degli Alpini, visto che non c’è più il servizio militare?
In un mondo dominato dalle tecnologie, l’adozione del modello professionale di Difesa è stato un passaggio necessario. Tuttavia, le Truppe alpine sono attualmente tra le realtà più solide dell’Esercito, con due brigate – la Taurinense e la Julia – e il Centro addestramento alpino, per un totale di circa 10mila militari. Il reclutamento avviene su base nazionale, ma registriamo che la stragrande maggioranza dei nuovi alpini esprime l’orientamento di servire nelle fila del Corpo, a testimonianza di un fascino che non conosce l’usura del tempo.
Dove sono impegnati, ora, gli Alpini in missione all’estero?
Le Truppe Alpine continuano ad essere in prima linea nelle operazioni internazionali cui partecipa l’Italia. In questo momento la brigata Taurinense è schierata nel Sud del Libano nel quadro di Unifil, la missione delle Nazioni Unite che opera là ininterrottamente dal 2006, mentre il 5° reggimento della Julia fornisce il contingente italiano delle Forward Land Forces in Ungheria, con compiti di deterrenza lungo il fianco est dell’Alleanza Atlantica. A questi impegni si aggiunge quello della brigata Julia con la Forza di reazione alleata della Nato, che si svilupperà per tutto il 2025.
Alessandria è molto grata agli Alpini, in particolare per gli interventi svolti da alcuni volontari durante l’alluvione. È solidarietà concreta, fisica, non solo a parole o con una sottoscrizione. La possiamo ritenere una vostra caratteristica?
Nel Dna dei soldati italiani c’è senz’altro la generosità e la solidarietà, e gli alpini non fanno eccezione, da sempre. Tutti le bandiere dei reggimenti alpini sono ad esempio decorate con una croce concessa dal Re per i soccorsi prestati subito dopo il terribile sisma che colpì Messina e Reggio Calabria nel 1908. Fu il primo intervento il larga scala, cui sarebbero seguiti quelli successivi al disastro del Vajont, al sisma in Friuli – fianco a fianco con i volontari dell’Associazione nazionale Alpini – fino ad arrivare all’alluvione in Piemonte e, più recentemente, ai terremoti nel Centro Italia.
Lei, personalmente, ha qualche ricordo particolare legato a missioni all’estero o a interventi “solidali”?
Tra il 2019 e il 2020 ho comandato la missione della Nato in Kosovo nel pieno dell’emergenza Covid e ricordo le azioni che furono messe in campo per sostenere le istituzioni sanitarie locali e le fasce più fragili della popolazione, coordinando una serie di progetti che spaziavano dalle forniture mediche ai piani di messa in sicurezza degli ospedali elaborati dai medici delle nostre Forze Armate. Una prova di solidarietà difficile ma efficace anche grazie al clima di cooperazione che si riuscì a costruire in un contesto multietnico complesso.
Se un ragazzo, che poco sa, le chiedesse una definizione di “Alpini”, lei che cosa direbbe?
La vita negli Alpini è una sfida affascinante, impegnativa ma ricca di soddisfazioni. La montagna è la palestra dove si tira fuori il meglio di sé, acquisendo doti di resistenza, coraggio, equilibrio e spirito di gruppo, mettendo sempre il “noi” prima dell’io. Nelle diverse armi e specialità delle Truppe alpine dell’Esercito è facile essere contagiati dall’orgoglio di essere al servizio del Paese, della comunità e della sicurezza nazionale e internazionale.
Fra 50 anni, cosa vorrebbe che si dicesse degli Alpini?
Fra 50 anni vorrei che si dicesse degli Alpini che hanno saputo mantenere, da un lato, il contatto con la popolazione e con i territori da cui provengono, e dall’altro la capacità di raccogliere le sfide della modernità e della tecnologia. Il nostro punto di forza resterà sempre il rapporto con la montagna: è lì che ci alleniamo, è lì che impariamo a resistere, è lì che nasce la nostra identità. Se sapremo continuare a credere nell’addestramento e nella formazione in montagna, a rinnovarci con l’introduzione delle tecnologie più avanzate e a restare vicini alle comunità, potremo dare ancora un contributo fondamentale alla storia d’Italia e alla difesa delle sue istituzioni.
Le chiedo un benvenuto ai circa 10mila alpini che verranno ad Alessandria.
Saluto la Sezione di Alessandria che ha organizzato il Raduno e sono vicino a tutte le penne nere del Nord Ovest e d’Oltralpe che, con allegria, porteranno l’impronta forte dell’alpinità. Parola che suggerisce impegno per la collettività, spirito di condivisione e attenzione per il sociale, traendo ispirazione dai valori delle comunità delle nostre belle montagne, di cui tutti gli Alpini sono custodi e promotori verso le nuove generazioni.