Leone: «Tv generalista e on demand destinate a convivere alla pari»
"Le piattaforme stanno accelerando sulla qualità dell’audiovisivo"
ALESSANDRIA – Oggi, venerdì 21 novembre, si celebra la Giornata mondiale della televisione, istituita dalle Nazioni Unite per ricordare il ruolo sociale, culturale e informativo di un mezzo che, dal secondo dopoguerra a oggi, ha accompagnato la crescita di intere generazioni. Con Giancarlo Leone, produttore televisivo ed ex dirigente Rai, proviamo a capire come questo mezzo sia riuscito a restare centrale e quale futuro lo attenda.
La televisione oggi convive con piattaforme digitali, streaming e social. Qual è, secondo lei, l’elemento che più di tutti le ha permesso di restare centrale nella vita delle persone?
La televisione nasce come mezzo generalista e per lungo tempo ha rappresentato la colonna portante dei consumi degli italiani. Prima Rai, poi Mediaset e successivamente gli altri canali, hanno costruito un’offerta che ha accompagnato le abitudini quotidiane. Dalla fine degli anni Novanta si è aggiunta la tv satellitare, con Stream e quindi Sky. Che, dal 2003 in avanti, non si pone come alternativa alla tv generalista, ma come suo completamento, tanto da offrire contenuti premium ad alto costo, sostenibili solo tramite abbonamento. Per anni questo sistema ha funzionato: la tv generalista manteneva oltre l’80% degli ascolti complessivi, mentre il satellite colmava le lacune di un’offerta che non poteva permettersi produzioni troppo costose. Nell’ultimo decennio, però, è arrivato il terzo pilastro: la tv in streaming, l’on demand, le piattaforme globali che producono contenuti originali, finanziati dai grandi gruppi americani e internazionali. Queste tre linee – generalista, satellitare e piattaforme – sono oggi lo schema su cui si regge il mercato. Ma lo scenario si sta spostando.
Verso quale direzione?
Circa il 70% del pubblico guarda ancora la tv generalista, mentre un 30% fruisce di contenuti in forme non lineari: smart tv, smartphone, tablet. È un fenomeno destinato ad ampliarsi. Ogni anno la tv lineare perde uno o due punti percentuali: è una discesa lenta ma continua che, proiettata nel futuro, ci mostra una tv generalista destinata a convivere in modo paritario con l’on demand. Anche se, a mio modo di vedere, ciò che farà davvero la differenza è il live: gli eventi in diretta restano l’elemento più forte della televisione tradizionale, nonostante lo sport ormai sia quasi tutto trasmesso a pagamento. Al contrario, gli eventi di spettacolo o intrattenimento possono rimanere il cuore della tv generalista. Sanremo è l’esempio massimo: è un evento live che riesce a parlare a tutti i pubblici, con ascolti che superano il 50% di share.
La grande sfida è quella generazionale…
I giovani guarderanno sempre più contenuti on demand, mentre il pubblico adulto continuerà a preferire la programmazione lineare. Ma nel lungo periodo le abitudini dei giovani diventeranno predominanti. Il consumo personalizzato è il futuro inevitabile.
Lei ha ricoperto ruoli chiave alla guida della Rai. Quali scelte strategiche hanno segnato un punto di svolta nella televisione italiana?
Il primo fu la scelta del gruppo Fininvest di trasmettere gli stessi contenuti su tutto il territorio nazionale senza averne l’autorizzazione. È un episodio noto, che anticipò la successiva Legge Mammì. In tal modo nacque ufficialmente la concorrenza privata al servizio pubblico. E fu un cambio epocale. La Rai, che negli anni Ottanta e Novanta ricavava oltre il 40% dei propri introiti dalla pubblicità e il restante 60% dal canone, fu costretta a cercare un equilibrio tra missione pubblica e mercato. Ma la concorrenza la spinse verso linguaggi e contenuti che non sempre erano in linea con la sua identità originaria. Il secondo momento cruciale arrivò invece nel 1987, con la nascita di Auditel: era necessario uno strumento che garantisse agli investitori pubblicitari la trasparenza sugli ascolti. Ma questo ebbe un prezzo: prodotti di qualità eccellente, spesso più raffinati o culturalmente avanzati, non venivano premiati dal pubblico e quindi non erano sostenibili. Da lì in avanti tutte le televisioni, pubbliche e private, hanno dovuto fare i conti con i numeri. E la tv è diventata, in buona parte, schiava dell’audience. Per il servizio pubblico, questo ha significato una perdita di identità più forte rispetto ai canali privati, che al contrario nascono con una vocazione commerciale.
Il servizio pubblico è ancora necessario?
È più che necessario: è indispensabile. Viviamo nel trionfo del mercato e del consumo a pagamento. In un sistema che spinge verso la personalizzazione estrema e la segmentazione del pubblico, serve un luogo capace di offrire un bilanciamento, un luogo che possa anche orientare, quando necessario, i gusti del pubblico ma senza farsi governare esclusivamente dalla ricerca dell’ascolto. Per farlo, però, servono risorse adeguate. Oggi la Rai ha circa il 25% dei ricavi dalla pubblicità e il 75% dal canone. Sono risorse insufficienti a sostenere un servizio pubblico realmente forte. Ecco perché dico che la tv pubblica dovrebbe essere liberata dalla pressione del mercato: dovrebbe essere finanziata quasi integralmente dal canone, come accade per la Bbc, così da non dover inseguire ossessivamente gli ascolti. Un servizio pubblico che può permettersi di non guardare solo allo share sarebbe una realtà in grado di tornare leader nella qualità e nel coraggio delle scelte. È un tema che nessun Governo, negli ultimi anni, ha voluto affrontare, né a destra né a sinistra. Ma è un tema fondamentale per il futuro del Paese.
Da produttore e da dirigente: quali sono i principali ostacoli e le principali opportunità per chi vuole innovare la tv italiana?
Le piattaforme stanno accelerando sulla qualità dell’audiovisivo. Film, serie tv, documentari originali rappresentano una parte significativa dell’eccellenza produttiva globale. Le piattaforme investono su contenuti che diventano prodotti di punta e sono in grado di programmare investimenti a medio-lungo termine. Per loro è possibile. Per la tv generalista molto meno, perché i ricavi sono più incerti: la pubblicità è in calo, il canone è politicamente discusso, i costi di produzione crescono. L’opportunità è però evidente: la spinta delle piattaforme ha alzato l’asticella. Il pubblico è più esigente, riconosce immediatamente la qualità e chiede contenuti all’altezza. Il problema è che la tv generalista, pubblica e privata, vive una stagione di scarsa creatività, perché deve far quadrare i conti. Molte idee vengono scartate perché percepite come troppo rischiose.
Il pubblico cerca sempre più la personalizzazione del prodotto?
Assolutamente sì. Siamo già dentro un simile processo: il telespettatore segue il contenuto, non il canale. L’esempio è dato dai grandi conduttori o dagli autori che si spostano da una rete all’altra portando con sé pubblico e ascolti. Crozza, passato da Rai a La7 e poi a Nove, ha mantenuto numeri simili. Fazio lo stesso. Tutti noi cerchiamo ciò che riconosciamo come valore, ciò che dà continuità alla nostra esperienza. Facciamo zapping tra i canali con la stessa logica con cui navighiamo sulle piattaforme. La personalizzazione ormai è parte integrante anche della tv generalista.
L’intelligenza artificiale, la realtà aumentata e l’interattività cambieranno la tv o sarà la tv a integrare queste tecnologie senza snaturarsi?
Sarà una rivoluzione soprattutto nel lavoro preparatorio delle produzioni. L’intelligenza artificiale cambierà la scrittura, la sceneggiatura, la preparazione degli elementi visivi, la progettazione. Permetterà di costruire scene o strutture oggi impossibili o troppo costose. Ma l’audiovisivo ha una sua specificità che non sarà superata. L’AI avrà un ruolo importante in molti settori – penso alla Sanità, alla ricerca, a tutte quelle attività che beneficiano di un’accelerazione tecnologica – ma nell’audiovisivo avrà un ruolo complementare. Non sarà prevalente.
Cosa significa per lei la televisione?
Appartiene alla nostra vita. Appartiene alla mia e alla nostra generazione. Noi siamo la tv e la tv è noi. Può rappresentarci o meno, ma viviamo insieme alla televisione. I dati ci dicono che passiamo oltre quattro ore al giorno davanti a contenuti televisivi. E sfido chiunque – me compreso – a dire di non farne parte. Non sempre guardiamo lo schermo tradizionale, ma contenuti televisivi su smartphone, tablet, computer, social network. La tv, in tutte le sue forme, è parte viva della nostra quotidianità.