Margelletti: «La guerra in Europa è ineludibile. E non siamo assolutamente pronti»
Andrea Margelletti
Società
Marcello Feola  
29 Dicembre 2025
ore
14:33 Logo Newsguard
L'intervista

Margelletti: «La guerra in Europa è ineludibile. E non siamo assolutamente pronti»

"Putin può brindare due volte, grazie ai suoi servizi segreti e a Donald Trump"

ALESSANDRIA – Andrea Margelletti, presidente del Cesi – Centro Studi Internazionali, istituto consulente del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, analizza con chiarezza la guerra in Ucraina e i riflessi sulla sicurezza europea e mondiale.

Un’intervista che mette in luce la difficoltà del Vecchio Continente nel definire una strategia comune e la capacità della Russia di mantenere una linea coerente con i propri obiettivi geopolitici.

Presidente Margelletti, partiamo da una domanda diretta: la pace in Ucraina è davvero possibile?

La pace in Ucraina oggi non la vogliono i russi. È evidente che Mosca abbia una strategia seria, lineare e coerente con i suoi obiettivi: riprendersi uno spazio e un’importanza “zarista”, tornando a essere un attore centrale nel contesto globale. Per questo continuano a bombardare e ad attaccare senza esitazione, senza dimenticare l’annessione di parte del territorio ucraino conquistato. La guerra per loro non è un incidente, ma una scelta di fondo.

Che ruolo gioca l’Europa in questo scenario?

L’Europa è in difficoltà per almeno tre ragioni. La prima: dalla fine della Seconda guerra mondiale abbiamo delegato gran parte della nostra sicurezza a soggetti terzi, in particolare agli Stati Uniti, che ancora oggi sono gli azionisti di maggioranza della Nato. Il secondo motivo, che considero eticamente sbagliato, è che negli ultimi settant’anni ci siamo concentrati solo sull’economia. Le generazioni sono cresciute più preoccupate di perdere quello che hanno piuttosto che difendere quello che sono. E infine il terzo punto: come ha ricordato il ministro Crosetto, le capacità si costruiscono negli anni. Non si crea un “Sinner” in quindici giorni: servono tempo, lavoro e sacrificio. E le capacità militari europee, pur presenti, devono essere fortemente implementate.

In che modo possono essere rafforzate?

Serve innanzitutto un punto di vista politico comune sulla sicurezza. Se non c’è una visione condivisa su quali siano le minacce, non si va da nessuna parte. Poi occorre lavorare sulla sinergia industriale e soprattutto aumentare in maniera significativa la produzione nel settore della difesa. Le faccio un esempio: se una nazione decide di usare fondi infrastrutturali per costruire bunker che proteggano la popolazione in caso di conflitto, compie una scelta chiara. Ma se un altro Paese destina le stesse risorse ad altri progetti che nulla hanno a che fare con la propria difesa, significa che la sua classe politica non ha una piena consapevolezza dei rischi.

Molti cittadini, però, rifiutano l’idea che il conflitto possa estendersi.

Talmente forte è la paura, che riesce a oscurare un ragionamento logico su Putin. In tanti pensano: “Non arriverà mai oltre l’Ucraina”. Eppure non sanno spiegare perché. Il rischio è che ci si giochi il futuro dell’Europa basandosi solo sulla speranza. Io sono credente, ma non posso basare la struttura della mia famiglia sulla fede di avere sempre un lavoro: servono basi concrete. Qui stiamo parlando del destino dei nostri Stati.

Negli Stati Uniti la politica estera sembra orientata altrove. Quanto pesa la variabile Trump?

Trump sta facendo il presidente americano: il suo interesse primario è affrontare il nemico principale, cioè la Cina. Non avendo risorse sufficienti per gestire due fronti contemporaneamente, tende a mettere da parte l’Europa e di conseguenza l’Ucraina, affidandola a chi è più vicino. Per gli operai dell’automotive di Chicago la Cina è un problema concreto, molto più delle aziende europee. Questo spiega la priorità data a Pechino.

Che possibilità ha l’Ucraina oggi?

Dipende da quello che avviene fuori dai suoi confini. In una guerra moderna, Kiev ha bisogno di una quantità enorme di aiuti per compensare lo strapotere industriale e numerico della Russia. Ma attualmente ne riceve sempre meno. Guardando alla disparità di forze, dubito che sul medio periodo l’Ucraina possa mantenere i territori conquistati. Credo sarà costretta a retrocedere, per mancanza di uomini e mezzi. Le capacità industriali e tecnologiche europee non possono colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti.

Putin, quindi, può sentirsi al sicuro?

Credo che Putin brindi due volte al giorno: per l’Amministrazione Trump e per l’efficacia dei suoi Servizi, che negli ultimi vent’anni hanno infiltrato reti politiche occidentali e la rete digitale, creando movimenti che influenzano l’opinione pubblica senza che la gente se ne renda conto. In questo i russi hanno un vantaggio enorme, anche sul piano della percezione della guerra.

In Europa c’è chi continua a considerare la Russia un interlocutore amico.

È vero. Molti politici dicono: “Guardiamo ai nostri problemi interni, piuttosto che a quello che succede fuori”. Ma è esattamente questo l’obiettivo della strategia russa: distogliere l’attenzione, ridurre la percezione del pericolo. Io sostengo da anni che una guerra in Europa sia ineludibile. Dal 2022 non abbiamo avuto un solo segnale che possa portare a un epilogo diverso. E lo dico con lucidità, non con fatalismo.

Un ultimo punto riguarda la narrazione del conflitto.

Per la prima volta nella storia dell’umanità si mette sullo stesso piano chi attacca e chi è attaccato. Si discute se Zelenskij debba “cedere” qualcosa, dimenticando che è un presidente democraticamente eletto, che ha subito un’aggressione militare. È un’assurdità. Bisogna riconoscere la bravura dei movimenti e dei Servizi di Putin nel diffondere un simile messaggio. Ma la verità resta una: l’Ucraina è stata invasa. Non possiamo permettere che la storia venga riscritta a colpi di propaganda.

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