Nespolo: «Zio Aligi mi ha spinto a dipingere. Mi ha un po’ inculcato il verbo…»
Società
29 Dicembre 2025
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L'intervista

Nespolo: «Zio Aligi mi ha spinto a dipingere. Mi ha un po’ inculcato il verbo…»

"L’arte può essere didattica, se non fosse spesso considerata inavvicinabile"

ALESSANDRIA – Sempre cercare, non essere allineati, creare la meraviglia. Ugo Nespolo è il grande maestro dell’arte contemporanea (di origine alessandrina, per di più): il suo stile eclettico e vivace è capace di attraversare epoche, stili e linguaggi con intelligenza e leggerezza.

Già nella metà degli anni Novanta, quando si iniziava a discutere di come la tecnologia stesse cambiando il modo di comunicare, lavorare e vivere, Nespolo produceva la sua prima ‘arte digitale’ realizzata per la Regione Piemonte. Avanguardia di arte e di pensiero in grado di suscitare un interesse che è sempre andato oltre i circuiti delle gallerie e dei musei tradizionali.

L’ultimo progetto in ordine di tempo è “Pop Air”, inaugurata lo scorso 31 ottobre al Museo del Genio a Roma. «Si tratta di una mia libera interpretazione di otto grandi sculture che attraversano i secoli, dall’antichità ai giorni nostri. Sono oggetti gonfiabili giganteschi, quasi tutti oltre i cinque metri di altezza: ci sono Jeff Koons, Botero e Pomodoro, ma anche la Venere di Milo. Sono opere che mi piacciono e che ho trasformato, reinventandole in questo modo. Sta avendo un ottimo riscontro. È molto didattica, piace ai bambini, fa sorridere. Insomma, svolge un po’ la funzione che l’arte potrebbe avere, se non fosse spesso considerata un qualcosa di incomprensibile, inavvicinabile e trascendentale. Questi sono oggetti divertenti, ma che raccontano una storia. E sono anche facilmente trasportabili perché, quando si sgonfiano, stanno in una specie di grande borsone. Interessante vero? È la prima mostra comoda da spostare e da allestire…».

Nel suo percorso, lei ne ha fatte migliaia, di mostre, veramente in tutto il mondo. E con una attività poliedrica che va dalla pittura alla scultura, fino al teatro. Oggi, tuttavia, non è affatto semplice parlare di arte e, soprattutto, fare arte.

Il discorso sarebbe molto lungo e complesso, ma la domanda da farsi è: chi è l’artista nella nostra società? Solo uno che produce oggetti che sono in realtà delle commodities, cioè beni materiali come i maiali, lo zolfo, la soia, il piombo, lo stagno oppure fa qualcosa di diverso? Se si ragiona come vuole il sistema dell’arte – per cui se qualcosa costa molto, allora vale molto e si compra un’opera solo come fonte di investimento – allora è chiaro che un artista non fa arte, ma crea commodites, cioè oggetti utili solo per scambiare denaro. È naturale che si dovrebbe andare oltre: l’arte ha un valore e, quindi, l’opera deve anche costare. Ma questo non dovrebbe essere lo scopo primario e, forse, l’unico vivibile e attuabile nella società di oggi. L’arte oggi ha un ruolo marginale, è merce fra le merci, ma un po’ lo è sempre stata – lo diceva già Marx – ed è un delitto. Può interessare a qualche collezionista più o meno abbiente, ma provate a chiedere a una persona che incontrate per strada: “Scusi che ruolo ha l’arte nella sua vita?”. Vedrete che questo impallidisce o chiama il 113 per farvi portare via.

Eppure stiamo assistendo a una crescita esponenziale di persone che corrono a visitare le mostre, i musei, le gallerie…

Sì, è vero, ma è un aspetto che non contribuisce a fare dell’arte un elemento radicato nella vita di tutti i giorni.

Se dovesse individuare uno dei momenti più significativi della sua carriera, quale sarebbe?

Più significativo non lo so, è difficile. Ho fatto mostre davvero in tutto il mondo: dalla Russia alla Cina, in America, in Europa. Ci sono momenti che ricordo bene: le due esposizioni al Palazzo Reale di Milano per esempio, le mostre in America oppure le scenografie e i costumi creati per il mondo del teatro e che sono andati in scena all’Opera di Parigi, a Losanna, Liegi, Metz, Siviglia, Roma. Proprio qualche mese fa ho realizzato i costumi per “Il trionfo dell’Onore” di Scarlatti, rappresentato alla Fenice di Venezia. Mi è sempre piaciuta l’idea di portare l’arte al di là del mio studio e metterla in relazione con le altre cose del mondo, portandola nella vita.

Come è nata la sua vocazione?

L’ho sempre avuta, fin da ragazzo. La mia famiglia era di Alessandria, Nespolo è un cognome alessandrino: mio nonno Teresio e mia nonna Giulia abitavano davanti alla stazione. Da bambino venivo d’estate a passare una settimana o due e Carla (la senatrice Nespolo, ndr) era sempre con me. I miei nonni avevano due figli: mio padre che si chiamava Libero – perché l’origine anarchica della famiglia era evidente – l’altro mio zio si chiamava Aligi, dal pastore Aligi dell’opera di Nietzsche, perché in famiglia c’era questo vizio di leggere… Zio Aligi era un personaggio particolare: dipingeva, suonava la chitarra classica. Quando ero ragazzino, è venuto a vivere con la mia famiglia a Santhià, dove mio padre aveva un’azienda, e mi ha spinto a dipingere. Mi ha un po’ inculcato il verbo.

Conosce bene anche il Monferrato, quindi. È mai stato fonte di ispirazione per le sue opere?

Sono molto appassionato alle nostre terre, a tutto il Monferrato ma anche all’Albese e al Cuneese, all’Astigiano, al Biellese dove sono nato. Sono le mie zone e mi ci ritrovo: sono profondamente radicato qui, mi piace venirci. Di Alessandria, ad esempio, ho tanti ricordi sin da bambino, ma anche dopo ho avuto forti legami: Umberto Eco era mio amico, Gianni Vattimo ha presentato una mia mostra e abbiamo viaggiato molto insieme, con Edoardo Sanguineti ho fatto un sacco di film e libri e ha pure scritto delle poesie per me, Fulvio Colombo ha presentato le mie prime mostre a New York… Erano tutti più anziani di me, ma il giro era quello.

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