Paglia: «Chi s’impegna per gli altri, veste uniforme o camice è il bello del nostro Paese»
Gianfranco Paglia con il Presidente Mattarella
Società
29 Dicembre 2025
ore
14:36 Logo Newsguard
L'intervista

Paglia: «Chi s’impegna per gli altri, veste uniforme o camice è il bello del nostro Paese»

"Io sono fortunato, perché quel giorno sono tornato a casa e tre compagni no"

ALESSANDRIA – Sabato, a Roma, al termine del corteo di solidarietà alla Palestina, alcuni manifestanti hanno lanciato petardi e fumogeni all’esterno del palazzo che ospita l’Associazione nazionale decorati al Valor militare.

Un gesto che, per molti, è passato inosservato, ma che per chi porta sulla pelle e nel cuore il significato di quella scritta – Valor Militare – rappresenta un colpo profondo alla memoria collettiva del Paese. Ecco perché ne abbiamo parlato con il tenente colonnello Gianfranco Paglia, Medaglia d’oro al Valor militare e Consigliere del Ministro della Difesa per la valorizzazione sportiva del personale militare con disabilità e per il loro reinserimento nel mondo del lavoro.

Tenente colonnello, cosa ha provato di fronte a quanto accaduto sabato a Roma?

Credo che chi ha lanciato quei petardi non sapesse nemmeno cosa rappresentasse quella scritta. I danni, per fortuna, sono stati lievi, ma il gesto è stato molto più grave del rumore di un’esplosione. Lì dentro c’è la memoria di uomini e donne che hanno dato la vita per l’Italia. Pensare che qualcuno, in nome della pace, possa colpire un luogo che custodisce il sacrificio di chi ha difeso la libertà, è un paradosso che fa male. Rabbia e violenza sono sempre da condannare. E certi slogan, come quelli che inneggiavano al 7 ottobre, hanno ferito ancora di più…

L’Associazione decorati al Valor militare è un luogo di memoria. Cosa avviene al suo interno?

La sede, in quei momenti, era chiusa perché era sabato, ma normalmente è un punto di riferimento aperto a tutti. All’interno c’è la storia del Gruppo “Medaglie d’oro”, con documenti e testimonianze. Chiunque può venire per conoscere meglio un proprio antenato o parente caduto per il Paese. Organizziamo attività con le scuole, presentazioni di libri e incontri per mantenere viva la memoria di chi non c’è più. È un valore che sentiamo forte e mi fa piacere vedere che, quando parlo ai ragazzi, capiscono quanto questi sacrifici siano parte della loro storia.

Cosa chiedono di solito gli studenti che incontra?

Mi domandano spesso dove si trova la forza per reagire quando, a 23 anni, ti ritrovi su una carrozzina. Domandano come si va avanti, cosa significa difendere i nostri valori e indossare l’uniforme. Io non faccio lezioni, racconto la mia esperienza e cerco di trasmettere un messaggio: la vita è un dono, e vale sempre la pena viverla nel miglior modo possibile. Quando parlo di disabilità, lo faccio con naturalezza. E alla fine mi accorgo che i ragazzi ne hanno bisogno: sono felici di aver ascoltato storie vere, spesso sconosciute.

Cosa pensa della manifestazione di sabato?

Rispetto le opinioni di tutti, ma non condivido questa visione. Il nostro Paese ha tante parti belle: chi indossa l’uniforme, chi lavora in un ospedale, chi si impegna per gli altri ogni giorno. Queste persone incarnano i valori autentici dell’Italia. Mi dispiace quando la sofferenza diventa pretesto per gesti o parole che non portano aiuto a nessuno. Se si vuole davvero fare del bene, lo si fa: lo abbiamo dimostrato, ad esempio, con i voli umanitari della Difesa per il Kosovo. L’aiuto concreto non ha bisogno di clamore.

Come si riparte dopo un evento che cambia la vita, come purtroppo è accaduto a lei?

Non so se si chiami forza d’animo. Io mi sono sempre sentito fortunato, perché quel giorno sono tornato a casa e tre miei compagni no. La Difesa mi ha dato tutto: la possibilità di tornare a indossare l’uniforme, di andare all’estero, di avere una famiglia. È un’istituzione che mi ha permesso di continuare a servire il Paese anche in un’altra forma. E questo, per me, è il senso più profondo del valore militare.

Diamo, anche grazie alla sua esperienza, uno sguardo ai conflitti aperti attualmente: teme realmente, come alcuni analisti, un allargamento della guerra in Ucraina?

Spero sinceramente di no. Penso che Putin non abbia interesse ad allargare il conflitto: il suo obiettivo è un altro. Dobbiamo restare vigili, certo, ma non farci prendere dal panico. L’Europa, però, si è svegliata tardi: nel Donbass si combatte dal 2014 e abbiamo fatto finta di nulla. Ora gli equilibri sono cambiati e molto dipenderà dagli Stati Uniti. Mi auguro che non abbandonino l’Ucraina, perché ne va anche della credibilità del mondo libero.

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