Petrecca: «Raccontare lo sport è anche raccontare un Paese. Serve equilibrio tra tradizione e nuovi linguaggi»
Paolo Petrecca
Società
29 Dicembre 2025
ore
14:43 Logo Newsguard
L'intervista

Petrecca: «Raccontare lo sport è anche raccontare un Paese. Serve equilibrio tra tradizione e nuovi linguaggi»

"La componente umana è ancora decisiva. Bisogna sapersi relazionare"

ALESSANDRIA – Il grande appuntamento con le Olimpiadi Invernali è l’occasione per riflettere su come stia cambiando il racconto dello sport e su quali nuove competenze siano richieste oggi a chi lo racconta, tra l’esigenza di restare fedele alla tradizione e il bisogno di parlare anche a un pubblico giovane.

Di questo, e di molto altro, abbiamo parlato con Paolo Petrecca, direttore di RaiSport.

Direttore, Milano-Cortina è oramai dietro l’angolo. Come vi state preparando?

L’impegno è totale, stiamo definendo gli ultimi dettagli. La squadra è pronta ed è di grande valore, affidata al vice direttore Auro Bulbarelli. Il 26 novembre sarà accesa la torcia, noi stiamo organizzando una lunga diretta, sia in studio con lo stesso Bulbarelli e con Fabio Genovesi, sia con gli inviati sul posto. Sarà l’inizio di un lungo percorso di avvicinamento, che seguiremo passo dopo passo: dall’arrivo della torcia in Italia, previsto per i primi giorni di dicembre, all’accensione del braciere olimpico, il 6 febbraio 2026. La Rai sarà l’unico broadcast davanti al braciere stesso ed è oggettivamente motivo di grande orgoglio.

È evidente che si tratti di una grande sfida…

Uno sforzo enorme, tra Olimpiadi e Paralimpiadi, con una copertura televisiva capillare. Rai2 sarà la rete olimpica: le gare, ovviamente, ma anche tg, approfondimenti e Notti Olimpiche alla sera con Sabrina Gandolfi. Ci saranno ben tre Casa Italia: a Milano con Marco Lollobrigida, a Cortina con Alessandro Antinelli e a Livigno, con una sorpresa che annunceremo più avanti. Nella squadra abbiamo inserito anche alcuni volti noti dello sport e del giornalismo: Paolo De Chiesa, Xavier Jacobelli, Stefania Belmondo e Giuliano Razzoli. A rotazione, saranno presenti anche Deborah Compagnoni, Isolde Kostner e Carolina Kostner.

Come vive un direttore una sfida di questo genere?

Con fiducia e preoccupazione. La prima deriva dal fatto che la squadra è rodata, composta da colleghi che hanno già raccontato diverse edizioni delle Olimpiadi e che sanno benissimo quello che fanno. La preoccupazione è invece principalmente di tipo logistico e organizzativo, legata per esempio all’impiantistica, alle location, ai tempi o comunque più in generale a tutti quegli elementi che non si possono prevedere.

Nel raccontare lo sport di oggi, quanto è difficile conciliare tradizione e nuove esigenze?

È fondamentale mantenere un buon equilibrio, cercando di sviluppare tutto ciò che va incontro ai gusti dei giovani, a cominciare dai social, ma conservando allo stesso tempo i contributi in bianco e nero, che ancora appassionano. La Domenica Sportiva rappresenta un esperimento vincente: sottolineo con orgoglio i risultati dello speciale del sabato sera, passato dal 3% al 5% di share, ma anche la crescita del pubblico femminile.

Quanto incide, a suo parere, la qualità degli ospiti?

Incide moltissimo, così come conta molto l’affiatamento tra gli ospiti. Un esempio, per restare in tema Ds, è la coppia formata da Ciccio Graziani e Adriano Panatta: funziona perché il confronto è spontaneo, naturale. Il segreto è proprio questo: chiacchierare e discutere come si farebbe al bar, che da sempre è il luogo dove si parla di calcio per davvero. In molti ci hanno accusato di aver copiato da Pressing lo studio ‘rotondo’ della Domenica Sportiva, pensato per favorire il dialogo. Non è vero: quel formato lo avevamo già sperimentato anni fa.

In un’epoca in cui le notizie, anche e soprattutto sportive, ‘invecchiano’ presto, come è possibile mantenere viva l’attenzione degli spettatori?

Superando la cronaca nuda e cruda dell’evento, e dando spazio alle storie, ai personaggi, agli approfondimenti. È questo che permette di mantenere alta l’attenzione. E poi c’è un altro aspetto importante: andare oltre la narrazione sportiva in senso stretto, perché raccontare un territorio significa confrontarsi con l’identità e con i valori di un Paese.

Direttore, fin qui abbiamo parlato di grandi palcoscenici. Se proviamo a riportare queste riflessioni alla realtà di una redazione locale, che consiglio darebbe a un giovane che si affaccia oggi al giornalismo in una dimensione di provincia?

Ho una visione romantica, ma anche cinica. Quando mi sono laureato mi sono trovato davanti a un bivio: ho insegnato per due anni, ma non mi piaceva, così ho scelto di fare il giornalista. Sentivo forte l’esigenza di andare sul campo, e credo che questa resti la condizione indispensabile. Bisogna avere capacità, essere curiosi, formarsi e prepararsi costantemente, senza lasciarsi condizionare dall’intelligenza artificiale o dai social.

E oltre alla tecnica e alla preparazione, che ruolo gioca oggi la componente umana?

È fondamentale. Serve la capacità di relazionarsi, di capire l’interlocutore, quasi di “entrare dentro” l’altra persona per riconoscerne i tratti, le intenzioni, il modo di essere. Sapendo che la strada è lunga, tortuosa, sempre più complessa. Il mestiere è cambiato, e continua a cambiare. Per questo bisogna avere il fuoco dentro, sentirlo davvero, e alimentarlo ogni giorno.

Un’ultima domanda: molti sostengono che chi scrive di sport sappia scrivere di tutto. Secondo lei è davvero così?

Credo che chi sa scrivere, sappia farlo a prescindere dal genere o dall’argomento. La prima vera dote è proprio quella: saper scrivere. Poi vengono la passione, la curiosità per il racconto, e una cosa che troppo spesso si dimentica: leggere, leggere tanto e di tutto. Pensare che chi scrive di sport sappia automaticamente scrivere di tutto è, secondo me, un luogo comune. Lo sport può essere una grande palestra, certo, ma il talento e la preparazione fanno la differenza in ogni ambito.

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