Severgnini: «È l’Italia dei vecchi irriducibili. E io, lo ammetto, sono tra loro»
Beppe Severgnini
Società
29 Dicembre 2025
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14:45 Logo Newsguard
L'intervista

Severgnini: «È l’Italia dei vecchi irriducibili. E io, lo ammetto, sono tra loro»

"I giornali, la tivù, la politica: ormai tutto pare destinato alla terza età"

ALESSANDRIA – Sono le 10.35 di mercoledì e Beppe Severgnini ha una priorità che c’entra molto con l’argomento dell’intervista.

«Scusi, ma devo andare alla finestra».

Sotto il suo ufficio, nel centro di Crema, stanno sfilando bambini che, imbacuccati, partecipano agli eventi di Santa Lucia.

E fra loro c’è Agata, la nipote alla quale il celebre giornalista non si limita a riservare l’amorevole sguardo da nonno («abbia pazienza, ma questa cosa non me la perderei per nulla al mondo»): a lei ha perfino dedicato un libro.

O meglio, ne ha inserito il nome nel titolo di un best seller (‘Socrate, Agata e il futuro’: quasi 100mila copie) che ha dato origine allo spettacolo che stasera, venerdì (ore 21, ancora posti disponibili), sarà presentato al Teatro Alessandrino di Alessandria.

Severgnini, dica di Agata, intanto.

Ha 3 anni e 9 mesi; quando ho scritto il libro, di cui lei è lo spirito guida, ne aveva circa 2 e mezzo. I bambini fanno bene al morale, non c’è dubbio.

Anche il suo libro è utile, soprattutto a chi non è più giovane.

Contiene undici esercizi per il cervello: dovrebbero aiutate a invecchiare meglio. Lo spettacolo che ne consegue, e che ad Alessandria chiuderà il mio anno teatrale, è narrativo, mentre il libro è saggistico.

Un libro che funziona.

Sì, se consideriamo che è stato 32 settimane in classifica, di cui cinque al primo posto.

Sul palco con lei un quintetto di musicisti.

Tutti miei coetanei e non a caso. Uno di loro, il collega responsabile del web del Corriere della Sera, mi chiese di poter suonare, coi suoi amici, durante un mio spettacolo a Campi Bisenzio, il suo paese. Da allora, mi seguono. Sono pazzi scatenati: si proposero senza dirmi che non suonavano insieme da 35 anni. Soltanto uno è professionista, l’originalità di caratterizza, basti dire che quello del sax, una volta, rinunciò a salire sul palco perché riteneva di non avere le scarpe giuste. Loro non hanno un copione, io sì.

E il suo copione è dedicato agli anziani.

Cerco sostanzialmente di capire che tipo di anziani stiamo diventando.

Temo la risposta.

Non siamo ancora insopportabili, ma impazienti di sicuro. D’altronde, se ti fanno aspettare un anno per una visita medica… Siamo troppi, noi vecchi, e soprattutto non molliamo l’osso. Siamo nonni che si impicciano, direttori che non mollano…

Lei si include, dunque.

Certo, mi riconosco perfettamente, ma cerco di far fronte al problema con l’ironia, che è spesso salvifica. A teatro questo traspare, d’altronde è uno spettacolo, non la conferenza di un geriatra.

Essendo del 1956 (auguri per i 69 anni che compirà a Santo Stefano!), non dovrebbe considerarsi vecchio, ormai….

Però siamo in un Paese dove uno su quattro ha più di 65 anni. Nel 1975, c’era un bambino per ogni 80enne, ora il rapporto è di uno a 6. Quand’ero piccolo io, c’era un nonno per quattro nipotini, ora siamo quattro nonni attorno a un nipote solo. Di questo passo, finirà che i bambini verranno soffocati dagli anziani.

Anziani presenzialisti, anche in politica. Ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, hanno avuto grande successo Fini e Rutelli…

Io penso che ad Atreju vengano invitati gli anziani, perché è anziano l’elettorato. Del resto anche noi giornalisti intervistiamo Casini, Violante, Mastella… E anche la televisione è spesso il Pantheon dei vecchi, che saranno protagonisti finché non crolleranno sulla scrivania.

Quest’affermazione va considerata come un ‘mea culpa’?

Io devo stare zitto, perché faccio parte della cerchia di cui parlo. Sono in buona compagnia, però. Pensate agli editorialisti del Corriere: Polito, Valentino e Rampini sono miei coetanei, classe 1956. Gramellini è un po’ più giovane, ma mica tanto. Stella è del 1953… Siamo tanti, siamo invadenti, ma anche vitali.

Però gli anziani sono anche quelli che leggono ancora i giornali.

Vero.

Quindi i giornali sono in via di estinzione.

Io, nel 2017, feci una copertina su ‘7’, il supplemento del Corriere, avente per titolo: “Chi leggerà i giornali nel 2027?”. Immaginavo che ci sarebbero stati problemi.

Specie per i giornali cartacei.

Costeranno cari e avranno un pubblico selezionato, di cui farò certamente parte anch’io che, la mattina, non so rinunciare al caffè, alla spremuta d’arancia e allo sfogliare il quotidiano. Ma, fra un po’, leggere il giornale sarà di nicchia, come andare a vedere uno spettacolo teatrale giapponese. Però l’informazione non è solo quella di carta: c’è tutto il resto.

Lei ne è testimonianza con i podcast e con le serie che cura per il web.

Si va inevitabilmente in quella direzione, ma il tema da affrontare riguarda il come farsi pagare. Con le copie cartacee è semplice, con internet no. Vedremo se qualcuno riuscirà a trovare la quadra. In America ci stanno provando, anche se negli Usa la platea dei lettori è sconfinata.

A salvare il giornalismo potrebbe essere la qualità?

Su questo non ho dubbi. Precisione e affidabilità restano essenziali. Se non sei utile al lettore, non hai strada. Io credo che si debba passare dalla fase dell’essere utile a quella dell’essere necessario. Così, magari, la nostra professione potrà sopravvivere.

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